sabato 7 ottobre 2017
Capacità di discernimento critico e soprattutto di intelligente mediazione dovrebbero alimentare lo stare in politica da cattolici.
I cristiani in politica: valore alle differenze per costruire unità
COMMENTA E CONDIVIDI

Caro direttore,

capacità di discernimento critico e soprattutto di intelligente mediazione – mi ricollego alle riflessioni, da lei pubblicate, del vescovo Gastone Simoni e di Giorgio Campanini – dovrebbero alimentare lo stare in politica da cattolici.

L'intervento del vescovo SImoni parte uno / parte due

Lo stare in politica non può però poggiare su visioni totalizzanti, íntegristiche e neppure esaurirsi nell’interesse immediato o tradursi in calcoli di convenienza. Essere portatori di una ispirazione cristiana significa molte volte andare controcorrente rispetto a logiche di potere e di mercificazione oggi prevalenti.E significa andare nella direzione delle esigenze più profonde e autentiche degli uomini e delle donne del nostro tempo, concorrendo a costruire – non imporre – una coscienza comune a partire da quanto unisce anche se questo non sempre corrisponde alla pienezza di ciò che il cattolico crede e professa. La situazione odierna non è certo esaltante. Basta vedere come la politica viene intesa e vissuta.

Valgono l’utilità e gli interessi immediati. Il bene comune e la moralità dei comportamenti pubblici e privati sembrano optional. Cresce la diffidenza e il fastidio nei confronti dei soggetti collettivi. Si guarda con indifferenza alle disuguaglianze sociali. Si diffonde una cultura egoistica. Il diverso è un nemico che insidia le nostre presunte sicurezze. L’antipolitica prende il posto della politica. La semplificazione e la banalizzazione espropriano lo spazio del ragionamento e dell’approfondimento. Si punta sulle personalizzazioni esasperate, sulla delegittimazione dell’avversario, sul genericismo dei valori e dei programmi. Il tutto enfatizzato dal potere mediatico.

E i cattolici cosa dicono, cosa fanno? La diaspora politica non può essere intesa come un banale e provvisorio incidente di percorso. È piuttosto punto di arrivo di un complesso movimento storico. Che implicazioni trarre da tutto ciò? Tra il richiamo all’identità da un lato e le logiche di schieramento dall’altro, i cattolici rischiano di cadere in una situazione di impasse e di progressiva marginalità.

Ma la scommessa per i cattolici di essere lievito e fermento nella società politica italiana non può essere affrontata con l’occhio rivolto al passato. La stessa ipotesi di nuove aggregazioni partitiche di centro, eredi di una tradizione con grandissimi meriti storici, si rivela al momento difficilmente praticabile. Sembra pertanto più realistico e nel contempo più impegnativo parlare di presenza plurale o meglio di presenze e testimonianze reticolari di persone e gruppi che giocano laicamente la loro specificità cristiana nelle dinamiche politiche, ma anche sociali ed economiche.

L’efficacia sarà in funzione sia del grado di coerenza tra l’annunciato e il vissuto sia della qualità dialogica delle relazioni che interconnettono tali presenze e testimonianze, rapportandole a un contesto, mai come oggi, bisognoso di segni di riconciliazione e di speranza. Sta, dunque, ai cattolici impegnati dimostrare, nella prassi, l’umana 'partecipabilità' delle cose in cui credono. Il cattolicesimo politico – nella sua tradizione popolare, personalistica, solidale – può dare infatti un serio contributo allo sviluppo e al consolidamento della democrazia italiana, conferendo a essa, nel dialogo con le altre componenti ideali e culturali, un’anima e una intenzionalità strategica.

Tra la tentazione di pragmatismi chiusi in loro stessi da un lato e il bisogno di idealità dall’altro, tra la omologazione sull’esistente e la sua trasformazione sulla base di valori condivisi si gioca oggi la difficile strada del rinnovamento della politica italiana. Per affrontare gli anni a venire, il nostro Paese deve avere un soprassalto morale e il coraggio di un grande progetto. Questa consapevolezza dovrebbe animare lo sforzo dei cattolici qualunque sia la loro collocazione e la funzione assolta. Non ci si può rassegnare alle logiche di frammentazione e di sterile contrapposizione oggi prevalenti. Si impone la faticosa costruzione di un discorso etico in base al quale dire dei 'sì' e dire dei 'no'; occorre quindi allargare i giochi della politica e dell’economia attraverso il dialogo e la trasparenza delle regole.

E l’unità della coscienza nazionale va ricostruita nel rispetto e nella valorizzazione delle differenze e aperta alla casa comune europea; servono nuovi spazi nell’ambito della riforma dello Stato ove elaborare insieme, cristiani e no, un percorso condiviso di crescita; occorre spostare in avanti le frontiere della democrazia riducendo progressivamente le aree dell’esclusione e della noncittadinanza. La realizzazione di un modello di sviluppo capace di riprodursi, ma anche di rispondere alle 'attese della povera gente' presuppone la conversione dei cuori e delle intelligenze. Qui stanno – come diceva Aldo Moro – le ragioni delle differenze, dei modi propri di lavorare nell’intento di «escludere cose mediocri per fare posto a cose grandi».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI