Non perde intensità in Italia il dibattito, anche acceso, provocato dal ricorso ai vaccini per far fronte alla pandemia da Covid-19. E, per quanto alimentate da settori no-vax assai minoritari, le tensioni sono forti e le contrapposizioni persino rabbiose. Il motivo del contendere è dato dalla libertà da obblighi di vaccinazione.
La libertà è un bene, espressione dell’essere proprio della persona: un bene-potere di scegliere e decidere, che la sapienza biblica riconduce al disegno creatore divino: «Dio da principio creò l’uomo e lo mise in mano al proprio volere» (Sir 15,14). La libertà è il potere della volontà, facoltà spirituale insieme all’intelligenza, che fa dell’individuo umano un essere sui iuris, dominus sui: "padrone" di sé e delle proprie azioni, e perciò responsabile. È questa l’autodeterminazione, espressione prima della libertà, che si estrinseca nella scelta e nella decisione. Ma con cui la libertà non coincide, come invece si tende a credere e a far credere oggi.
Una libertà centrata sul potere di autodeterminazione è una libertà vuota e arbitraria. Vuota perché non inverata da un ordine di beni e valori morali. Arbitraria perché in balia dell’opinione, di "quello che mi pare".
La libertà cresce e matura nel passaggio dall’autodeterminazione: libertà di scelta; all’autorealizzazione: libertà morale. Libertà per il bene, che si lascia vincolare dal bene: lo ricerca, lo vuole, lo adempie. Bene che non è fatto dalla libertà. È fatto prima, da un ordine morale riconosciuto dall’intelligenza e fatto proprio dalla volontà, che insieme costituiscono la libertà.
Di questa riduzione della libertà a mera autodeterminazione abbiamo riscontri molteplici in prese di posizione di individui, opinion leader, associazioni, movimenti, partiti, specie in merito a questioni eticamente sensibili. Ne è espressione critica, altamente dissociativa, il rifiuto irragionevole di vaccinarsi da parte di settori della popolazione, in nome della libertà di autodeterminazione, disconoscitrice di ogni obbligo e responsabilità indotti dal vaccino.
Prescindiamo qui dalla responsabilità verso se stessi. Consideriamo la responsabilità verso gli altri, rispondente al dovere di tutelare la salute altrui. Se è vero, come la scienza dimostra, che il vaccino contrasta la diffusione del virus, impedendo o anche solo limitando i contagi e le letali conseguenze, e che i benefici della vaccinazione superano di gran lunga i rischi, allora – fatte salve legittime controindicazioni mediche – vaccinarsi è un obbligo morale. Obbligo tanto più grave quanto più contagiosa e nociva per gli altri può risultare la vicinanza e l’interazione con essi. Obbligo che inizia da una corretta e leale informazione sui vaccini.
Tale obbligo può (forse) non diventare un dovere legale, per la complessità e conflittualità delle situazioni, delle mediazioni e delle implicazioni che l’imposizione giuridica può comportare. Resta però un dovere morale che non obbliga per legge ma obbliga in coscienza, non obbliga davanti al legislatore, ma obbliga davanti a Dio; la cui inadempienza può non essere un reato ma può essere un male morale, un peccato.
La questione etica dei vaccini co-implica due princìpi: il principio di autodeterminazione e il principio del bene comune. Bene del "noi tutti" uniti in società, che per noi qui è il bene della salute pubblica: bene di tutti e di ciascuno nella comunità di appartenenza. Due princìpi da coniugare insieme, indivisibilmente. Un’autodeterminazione centrata su se stessa, indifferente al bene comune, incurante del male arrecabile ad altri, è un’autoreferenzialità moralmente colpevole.
L’ordine morale non è meno vincolante di quello legale. Non è ad libitum. «Vaccinarsi – ha detto il Papa qualche giorno fa – è un dono d’amore per gli altri". Anche l’amore ha i suoi vincoli, il dono i suoi doveri. Essi non sono esigibili per legge. Non sono però espressione di mero sentimento. Ma di una libertà che si lasca vincolare, autodeterminare dall’amore.
Teologo moralista, Pontificia Università Lateranense