In effetti i cattolici, che demograficamente negli Stati Uniti contano per circa il 24% della popolazione, sono già tecnicamente "sovrarappresentati" in Congresso. Circa il 27% dei senatori e il 31% dei deputati si identificano con la fede romana, così come il presidente della Camera, il repubblicano John Bohener, e la leader della minoranza democratica Nancy Pelosi. Ma la presenza dei cattolici è percentualmente ancora più significativa fra i giudici, nel governo e nelle forze armate. Sono cattolici sei giudici su nove della Corte suprema, il segretario di Stato John Kerry, il capo di gabinetto della Casa Bianca, il direttore della Cia, il numero uno e numero due dell’Fbi, il capo di Stato maggiore delle forze armate, il comandante dei marines, il capo di Stato maggiore dell’aviazione e l’ex consigliere della sicurezza nazionale. Oltre a due quinti dei governatori dei 50 Stati americani. È un fenomeno in crescita che è passato quasi inosservato sui media statunitensi - stranamente, se si considera che la paura di un "controllo papale" sulla politica americana costrinse Kennedy in campagna elettorale a dichiarare la sua autonomia dal Vaticano. Ma ancora più sorprendente è la propensione del liberal Obama a nominare cattolici ai più alti ranghi della sua amministrazione, soprattutto se si considera lo scontro frontale fra esecutivo e Chiesa scatenato dalla legge di riforma sanitaria del presidente, la cosiddetta Obamacare, che impone ai datori di lavoro di fornire contraccezione e farmaci abortivi ai loro dipendenti. All’indomani dell’approvazione del provvedimento, nel 2010, la Chiesa ha alzato gli scudi contro il famoso "obbligo contraccettivo", sfidando il presidente in tribunale. E mentre vinceva sentenza su sentenza in favore della libertà religiosa, Obama continuava a circondarsi di cattolici.
È sicuramente un segno che la cultura cattolica, grazie anche a un avanzamento dei suoi aderenti verso gradini più alti della scala socioeconomica Usa, è sempre più parte integrante del tessuto della vita americana. Ma forse anche di qualcos’altro. Manlio Graziano, su Limes, lo interpreta come un indizio del disorientamento degli americani, accelerato all’inizio del nuovo secolo, quando «la peggiore forma di male si è abbattuta sul loro suolo, il loro sistema economico è stato scosso da una profonda crisi, e una moltitudine di nuove e vecchie superpotenze ha cominciato a contestare nei fatti la loro superpotenza», lasciando gli Usa «filosoficamente sguarniti di fronte al loro declino» e alla ricerca di «più solidi punti di riferimento». È anche innegabile che, dopo la recessione, i tagli ai servizi pubblici hanno ceduto in parte alla Chiesa il difficile compito di garantire una rete di sicurezza ai bisognosi, facendone un interlocutore imprescindibile per le amministrazioni locali.
La Chiesa dunque come l’unica organizzazione affidabile e strutturata in grado di rimpiazzare uno Stato in ritirata e di produrre, nelle sue scuole e università di alto livello, una classe dirigente preparata e critica. Quindi, dal punto di vista del governo, una forza con la quale conviene allearsi e alla quale attingere idee e risorse. La tendenza è destinata a rafforzarsi, e non solo nel caso dell’elezione di un presidente cattolico. La stessa Hillary Clinton, di fede metodista, per gestire la sua campagna elettorale ha scelto infatti il cattolico John Podesta, stratega democratico di lunga data che ha lavorato come consigliere di Obama, e Brian Fallon, ex portavoce del ministro alla Giustizia Eric Holder. E se, come sembra, l’ex first lady otterrà la nomination democratica, in prima linea per il posto di vicepresidente c’è il cattolico Julian Castro, attuale ministro per la Casa e lo sviluppo urbano. Resta da chiedersi se quest’ondata che copre o lambisce i vertici della politica americana sia solo un’interessante evoluzione storica o se abbia un impatto misurabile sulla società americana. La risposta è che il fenomeno ha già prodotto effetti tangibili. In una società sempre più secolarizzata e tesa a ridefinire i concetti di matrimonio, dei due sessi e della famiglia, il punto di vista cattolico è diventato più pervasivo nel dibattito politico. La Corte Suprema guidata dal presidente John Roberts, in particolare, ha redatto opinioni che hanno spostato il corpus legislativo americano con piccoli ma costanti passi verso una più ampia interpretazione della libertà religiosa. I nove giudici hanno stabilito che i funzionari locali possono pronunciare preghiere cristiane all’apertura delle riunioni pubbliche, sostenendo a maggioranza che la pratica non viola la separazione fra Stato e Chiesa. La stessa maggioranza ha rafforzato i diritti religiosi degli imprenditori, concedendo loro l’esenzione dall’obbligo contraccettivo di Obamacare che, hanno decretato i togati, «imporrebbe un onere sostanziale all’esercizio della religione». La Corte ha attribuito lo stesso diritto al Wheaton College dell’Illinois.
Meno diretto è il rapporto fra il numero di cattolici fra le leve del potere americane e il numero d’iniziative che limitano l’aborto. Ma è esemplare di un nuovo rapporto fra Chiesa e politica il modo in cui la conferenza episcopale Usa (nel 2009) riuscì a far leva sulla battaglia comune con i democratici per una sanità universale per eliminare da Obamacare ogni possibilità di finanziamento pubblico dell’interruzione di gravidanza. Quel tipo di pressione sul Congresso e sulla politica, un tempo impensabile, continua. Poche settimane fa, la Camera Usa ha approvato una legge che vieta l’aborto dopo la ventesima settimana di gravidanza, dopo che già dieci Stati americani hanno promulgato leggi simili. E da mesi alcuni vescovi americani fanno notare dal pulpito la contraddizione fra la fede dei candidati repubblicani Rubio e Bush e il loro insistente diniego dell’esistenza di cambiamenti climatici provocati dall’azione umana. Sarà interessante vedere se l’elettorato cattolico punirà il "giovane" Bush per aver criticato apertamente l’enciclica sul clima di papa Francesco. È indubbia inoltre l’influenza della dottrina sociale della Chiesa nel dibattito in corso sulla disuguaglianza economica negli Stati Uniti e sulla ricerca di un equilibrio tra il bene comune e l’ideale americano dell’individualismo. Colpisce sentire candidati e politici richiamare concetti come la sussidiarietà e la solidarietà sociale o come "il giudizio prudenziale". Nonostante nessuno di loro (o dei funzionari, politici, generali o magistrati americani che si definiscono cattolici) difenda in modo coerente tutti gli aspetti della dottrina cattolica, la loro presenza a Washington e nelle capitali statali ha reso più accettabile il pensiero cattolico nella società americana. E testimonia il bisogno nella politica Usa di un interlocutore autorevole come la Chiesa.