Per Tarso Gento, ministro della Giustizia del Brasile, Cesare Battisti è un "rifugiato politico" e la richiesta di estradizione fatta dalla giustizia italiana va respinta. Se ricondotto in Italia, dice, sarebbe perseguitato per le sue idee politiche. Forse lo aspettano 'giustizieri' paralleli. E poi, dice ancora, sarà proprio vero che in Italia il Battisti ha avuto a suo tempo un giusto processo, con tutti i dubbi che ci sono? Mi sembra uno schiaffo doppio alla giustizia, per il suo doppio aspetto politico e giuridico. Qui intendo occuparmi del solo aspetto giuridico, ma chiarisco subito che lo faccio di proposito perché l’orizzonte giuridico, in tema di terrorismo, è unico e totale, senza fantasmi di nobilitazione pseudo-politica. A ciò mi invoglia quel che dice la Convenzione europea di Strasburgo del 1977 (scritta nel cuore degli anni di piombo) in materia di terrorismo e di estradizione. Voglio dire, insomma, che sparare alla testa di un maresciallo della polizia penitenziaria che torna a casa dove l’aspettano la moglie e tre bambini (si chiamava Antonio Santoro) è un’infamia non "politica", è una infamia e basta. Come ammazzare il poliziotto Andrea Campagna, e i "civili" Sabbadin e Torregiani. Sangue è sangue, sangue "politico" è nel terrorismo un linguaggio folle. Negli anni di piombo che insanguinarono la repubblica, nell’Italia di 30 anni fa, il terrorismo ha fatto 349 morti e 750 feriti. Quattro di quei morti stanno sulla fedina penale di Battisti. La giustizia italiana ha percorso tutti i gradi dei processi a suo carico, corte d’assise, corte d’appello, corte di cassazione, e l’ergastolo che ne è sortito è una condanna definitiva. Immaginare oggi un’assoluzione 'politica' da parte del ministro brasiliano con la sconfessione, neanche troppo velata, del nostro giudicato, fa a pezzi lo stesso impianto della giustizia italiana, a guisa di una giustizia tribale. E invece quel poco di conforto che dentro la tragica "notte della repubblica" ci rincuorò dai terrori fu la tenuta del postulato legale: che contro i terroristi non era 'guerra' (il loro sogno demente e provocatorio di parità con lo Stato), ma legge. Legge processuale e legge sostanziale. La legge fu pure aspra, dentro l’emergenza, intanto che il picco della violenza segnava la media di quattro attentati al giorno; ma la Corte costituzionale la controllò e l’approvò (sentenza n. 15/1982). I processi non furono il rullo compressore lanciato a schiacciare il formicaio, sacrificando la cultura garantista; furono processi con condanne e con assoluzioni, con appelli respinti e accolti, con sentenze di cassazione confermative o rescissorie. Cesare Battisti ha avuto i suoi processi, le sentenze definitive, e ha un ergastolo da scontare, per la nostra giustizia; cercato in Francia, dopo anni di rifiuto nel 2004 fu estradato, ma fuggì. Che fosse da consegnare non fu detto solo dalla Corte francese, ma dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (dicembre 2006). Ora un ministro brasiliano dice di no, dice che è un rifugiato politico, che ha paura per la sua vita, per le vendette politiche. Manca, in tutta questa recita, l’unica grande parola che aprirebbe spiraglio alla novità d’un mutamento d’orizzonte: la parola del pentimento, del distacco dal delitto, o almeno dell’esecrazione del delitto altrui, se dura la protesta d’innocenza giuridicamente vana. La giustizia italiana è tutto fuorché vendetta cieca. Ci può esser temperanza al castigo accolto, se orientato all’emenda. Ma non c’è strada di clemenza che rifiuti la penitenza.