Per essere credibili, le coincidenze non devono essere troppo clamorose. L’uno-due portato alla Russia, invece, è clamoroso assai. Partiamo dal più recente, l’abbattimento del caccia da parte dei turchi. Si discuterà all’infinito se l’aereo volasse ancora sui cieli della Siria o già su quelli della Turchia. Gli americani (che hanno occhi e orecchie ovunque, dal Sinai al confine turcosiriano, ma ancora non dicono ciò che successe all’aereo malese abbattuto sull’Ucraina nel luglio del 2014) sostengono che il pilota russo avrebbe ricevuto molti avvertimenti, addirittura una decina, prima di essere colpito. I tracciati aerei diffusi dai turchi indicano uno sconfinamento che sarebbe durato 17 secondi, troppo breve per tanti avvertimenti. Ma non è questo il punto.Negli ultimi vent’anni, i rapporti tra Russia e Turchia sono sempre cresciuti, sia in frequenza sia in importanza. L’interscambio commerciale ha raggiunto cifre record, i russi vanno in vacanza in Turchia senza bisogno di visto, i sindaci di Mosca e Istanbul pochi mesi fa hanno siglato un accordo di cooperazione. Nel 2014 Putin ed Erdogan hanno firmato un patto preliminare per la costruzione del gasdotto
Turkish Stream e la fornitura 'chiavi in mano' di una centrale atomica di produzione russa. Un cambio di passo ancor più sorprendente perché realizzato da Paesi che storicamente si sono sempre combattuti. La domanda giusta, quindi, non è se il pilota russo abbia o no sbagliato, questione che si sarebbe potuta risolvere per via diplomatica, ma piuttosto: per quale ragione abbattere, con un atto di guerra, il mezzo di un Paese forse non amico ma di certo non nemico? La risposta sta nel collegamento con l’altro colpo portato alla Russia appena poco prima, cioè la rinnovata offensiva contro la Crimea rirussificata decisa dal Governo ucraino. Tutte le linee elettriche con la penisola sono state tagliate, tutti i canali commerciali interrotti. Questo da parte di un Paese sull’orlo del default (debito per 70 miliardi di dollari, di cui 40 con creditori esteri) e che entro il 20 dicembre deve versare alla Russia 3 miliardi di dollari per vecchie forniture di gas. Ciò che collega le due vicende è la Nato.L’Alleanza atlantica si è schierata con veemenza contro la Russia e le sue azioni sia sul fronte ucraino sia su quello siriano. E ha più volte garantito tutto il suo appoggio sia all’Ucraina, che non è nella Nato ma vuole entrarci (il presidente Poroshenko lo ha detto più volte, l’ultima nel settembre scorso, e il premier Yatsenyuk ha guidato per anni una Fondazione finanziata anche dalla Nato), sia alla Turchia, che dell’Alleanza è membro addirittura dal 1952. Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato dal 2014, ha più volte criticato l’operato dei russi in Siria, ma non ha mai speso una parola sui maneggi della Turchia con i terroristi del Daesh che, grazie alla benevolenza di Istanbul, da anni vendono petrolio, riciclano opere d’arte e ricevono i rinforzi dei 'combattenti' reclutati in Europa e in giro per il mondo. Su tutto però vegliano gli Usa, che hanno patrocinato il cambio di regime a Kiev (mettendo poi una funzionaria del loro Dipartimento di Stato a fare il ministro dell’Economia) e patteggiato con Erdogan per avere l’uso delle basi aeree turche e lasciargli, in cambio, libertà di bombardare i curdi oggi e di prendersi domani, nella preventivata spartizione della Siria, la parte a Nord. Cosa che farebbe sfumare, forse per sempre, l’idea di un Kurdistan unificato. Vladimir Putin non è un benefattore dell’umanità, ma un leader astuto e autoritario. In Ucraina si appoggiava a un presidente inefficiente e corrotto come Janukovich, in Siria a uno spietato presidente-padrone come Assad. Ma sono passate solo poche ore da quando tutti giuravano di avere il Daesh nel mirino, di considerarlo il primo nemico della convivenza tra i popoli e le fedi. Per battere il jihadismo terrorista bisogna intendersi con chi ci sta, non chi ci piace o compiace. E serve un’unità senza doppi o tripli giochi tra americani, europei e piccole e grandi 'potenze' del mondo arabo e islamico. La bomba di Tunisi, che ieri ha fatto strage sul bus della guardia presidenziale, dovrebbe almeno ricordarci ciò che rischiamo ad avere la memoria corta e l’ambizione cieca.