Nella foto sul web c’è una villetta candida sotto il sole del 23 marzo, che era, qui al Nord, una giornata splendente di primavera. Una villetta bianca insospettabile a Paderno Dugnano, laboriosa cittadina della grande cerchia di Milano. Ma, davanti alla casa nella foto ci sono le tute bianche dei Ris. Per la seconda volta nella settimana. La prima volta, chiamati dai vicini, i Carabinieri avevano trovato nella casa la signora Sabina, 64 anni, morta sola, probabilmente per cause naturali, da almeno dieci giorni. Dentro, le stanze erano invase da quel polveroso soffocante ciarpame proprio degli accumulatori seriali, quelle persone che per malattia riempiono la casa di cartoni, giornali, bottiglie, di ogni tipo di rottame. Come se non sapessero staccarsene, o come se fosse l’unica cosa che resta loro.
Portato via il corpo della donna, i vicini si domandavano che ne fosse dell’anziana madre, novantenne; quella, non la vedevano da diversi mesi. « L’ho portata in un ospizio nel Veneto», aveva detto la signora Sabina, e poi più niente. È stato forse per quel primo tepore del 23 marzo che i vicini hanno insistito? Un tanfo greve continuava a stagnare sulla casetta bianca. Allora i Carabinieri sono tornati a cercare un pezzo di carta, una retta che indicasse dove fosse ricoverata la madre. Una gran fatica, in quei locali zeppi di cartacce e polvere, ma, niente. Solo, avvicinandosi a un grosso armadio l’odore si faceva più forte. Aperte le ante sigillate con lo scotch, su uno scaffale c’era un grosso pacco avvolto nella plastica. Impossibile, non poteva essere. Invece, dentro, c’era proprio la madre, morta da mesi, anche lei probabilmente di morte naturale, ormai mummificata.
Ora, si sente dire in quel paese, “la figlia avrà tenuta nascosta la salma della mamma per continuare a percepirne la pensione, suo unico reddito”. È già successo altre volte – sono, più che truffe, storie di estrema disperazione. Ma, è il dubbio, una persona sana di mente non scava, in un simile caso, almeno una buca in giardino, o in cantina? Dorme a due passi dal cadavere della madre, ne respira la morte e vive come sempre? O non è invece che, nella mente malata della povera accumulatrice di rottami, la stessa madre era qualcosa che non poteva in nessun modo abbandonare? I quaderni di scuola e un ingiallito abito da sposa, centinaia di bol-lette, pile di giornali, lattine di cibo scaduto, bottiglie, biglietti di remoti Natali. Frammenti di una vita crollata senza poterla arginare.
Forse quell’impossibilità di separarsi da ogni oggetto inutile è il simbolo di un’esistenza che sfugge, e cui ci si vuole disperatamente attaccare. La madre, poi, la madre, lasciarla andare, inconcepibile. L’avrebbe tenuta nell’armadio, ben chiusa. Nessuno si sarebbe accorto di niente. Così che in fondo speriamo che la signora Sabina, rimasta sola nella sua casa, abbia fatto ciò che ha fatto per uno scopo “terreno”, per intascare ancora la pensione, l’unico suo sostento. Meglio pensare a una povera truffa, che alla solitudine totale dietro all’altra ipotesi. La mamma no, lei no, non dovevano venirla a prendere.
Lo scotch comprato di fretta, srotolato a sigillare. (“Tu resti con me, non ti lascio andare”). Se così fosse, la casetta candida di Paderno Dugnano sarebbe, mimetizzata sotto le più inimmaginabili apparenze, un black hole, come quei buchi neri delle galassie, il buio e il nulla in mezzo alle stelle. Black holes: fra le nostre città piene di luci la sera, quella casa senza più alcuna luce. Gonfia, dentro, dolorosamente, di relitti, spazzatura, roba rotta.
E madre e figlia, morte. Si muore anche così nell’Italia dei vecchi, presente e ventura. Nella trama densa delle voci degli altri, nel traffico sulle tangenziali, nello squillare dei cellulari e nelle voci dei tg, di colpo, un assoluto silenzio: come una smagliatura nel vivere comune. Nessuno che si accorga, non un vicino che, per oltre dieci giorni, vada a bussare. Chiudere la propria porta, sprangarla, non basta a far salvo nessuno.