Nel discorso che ha pronunciato ieri nel corso dell’udienza alla Curia romana, in occasione degli auguri natalizi, Benedetto XVI ha offerto agli ascoltatori alcune sottili riflessioni teologiche. Una, in particolare, merita attenzione. Dopo aver ribadito che la Chiesa non può e non deve limitarsi a trasmettere ai propri fedeli soltanto il messaggio della salvezza, ma che «essa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico», il Papa ha aggiunto che nel 'creato', che è oggi sottoposto a grandi pericoli di distruzione e che va difeso come un bene appartenente a tutti, rientra ovviamente anche l’uomo. È compito primario della Chiesa «proteggere l’uomo contro la distruzione di se stesso». È facile immaginare che queste parole del Papa troveranno ampio consenso in tutti coloro che vedono con preoccupazione il degrado ambientale come un’autentica minaccia per la sopravvivenza stessa del genere umano. Ma il Papa va al di là di queste pur giuste preoccupazioni, chiaramente da lui pienamente condivise. «Le foreste tropicali – egli ha detto – meritano, sì, la nostra protezione, ma non la merita meno l’uomo come creatura, nella quale è iscritto un messaggio che non significa contraddizione della nostra libertà, ma la sua condizione». Se l’uomo corre un pericolo di distruzione, è anche perché abusa della propria natura, affidandosi ciecamente a illusorie pretese di autoemancipazione, tra le quali Benedetto XVI cita esplicitamente quella del 'gender', l’ideologia secondo la quale l’uomo sarebbe legittimato a scegliere e a elaborare in sovrana e insindacabile libertà i propri orientamenti pulsionali, dato che l’identità sessuale – maschile e femminile – del nostro corpo andrebbe considerata alla stregua di un irrilevante dato biologico. La questione è cruciale. Teoreticamente essa rimanda ad una questione metafisica, quella della natura dell’essere umano, che – dice il Papa – non può essere ritenuta 'superata'. Teologicamente, essa investe il problema dell’'ordine della creazione', che siamo chiamati a rispettare, nella consapevolezza che qualsiasi manipolazione di quest’ordine sul piano spirituale è un’autentica offesa a Dio e sul piano materiale è una minaccia per l’uomo. La questione possiede però anche un suo rilievo mediatico, che non va trascurato. Si sono di recente moltiplicate sui mass-media le critiche alla fermezza con cui la Chiesa sta prendendo le distanze da dichiarazioni, atti di indirizzo, convenzioni nazionali e internazionali, nelle quali ( spesso – perché non dirlo? – subdolamente) sono stati introdotti, nella pretesa di denunciare qualsiasi discriminazione, indebiti riferimenti alla logica del 'gender'. Spiace rilevare come studiosi di pur alto profilo – si veda l’editoriale di Carlo Galli, su Repubblica di ieri – si dimostrino non in grado di percepire quale sia la vera posta in gioco. Insegnare ai bambini e ai ragazzi, nel contesto di una disciplina scolastica quale l’Educazione alla Costituzione che il matrimonio non presuppone la diversità sessuale (come avviene in Spagna) o imporre che nei sussidiari delle scuole elementari non si usino termini come 'papà e mamma' (come succede in Inghilterra), perché portatori di valenze discriminatorie (!!!), non significa insegnare pluralismo e tolleranza, ma veicolare con l’autorevolezza che la scuola dovrebbe possedere (ma che sempre meno possiede) una visione deformante dell’identità umana. «È necessario che ci sia qualcosa come una ecologia dell’uomo, intesa nel senso giusto», ha detto ieri il Papa. A quando una franca discussione su questi temi, liberata da pregiudizi laicisti, divenuti oramai soffocanti e insopportabili?