La «parola chiarificatrice» scritta da Benedetto XVI sulla remissione della scomunica ai quattro vescovi 'lefebvriani' – ieri pubblicata – incanta e ad un tempo conforta. Incanta perché scritta con uno stile e un linguaggio non solo poco usuali, ma inediti. Egli si rivolge ai confratelli vescovi – ma, ovvio, non solo a loro – con il cuore in mano. E un tono molto personale. E con il candore di chi non ha nulla di proprio da difendere. Ammette quegli alcuni «sbagli» intercorsi nella vicenda (assumendosi in prima persona le responsabi-lità), e propone dei rimedi anche molto concreti (vedi l’uso di internet). Confessa in modo disarmato il dolore provato dagli attacchi subìti – e a far soffrire sono stati più i colpi arrivati dall’interno che non quelli esterni alla Chiesa –, sferrati da chi non aveva capito o non ha voluto capire il suo gesto di misericordia. A tutti spiega o, meglio, rispiega il perché di questa decisione. Lo fa con profonda umiltà e con grande energia interiore. Umiltà perché il Papa di per sé non era tenuto a questa ulteriore spiegazione, che in effetti nessuno si aspettava. Energia perché ribadisce e conferma la propria decisione, argomentandola da par suo e inserendola pienamente nell’ambito proprio della sua missione di successore di Pietro. Risponde così a chi non aveva capito, o non ha voluto capire, quale fosse la posta in gioco, e quindi le ragioni della necessità – ora – della remissione della scomunica. E a chi – più o meno ingenuamente – era stato indotto a pensare che quella con i 'lefebvriani' fosse semplicemente una 'sua' personalissima e un po’ maniacale fissazione, e non piuttosto una strategia giovevole a tutta la Chiesa odierna. E qui arriva il motivo del conforto. Benedetto XVI con questa sua lettera mostra come, cattolicamente, il chiarimento su un fatto contingente può diventare l’occasione per trarre un insegnamento universale. Con stile sapienziale, e un afflato quasi patristico, il Papa ricorda qual è la sua missione essenziale, qual è cioè «la prima priorità» che Gesù ha affidato a Pietro («Tu... conferma i tuoi fratelli») e quindi spiega che oggi – «in questo nostro momento della storia» in cui «Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini» – la «priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del successore di Pietro » non può non essere che questa: «Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia». E che da questa grande priorità – ricorda sempre il Papa – « deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l’unità dei credenti», quindi la causa ecumenica e, in un certo senso, il dialogo interreligioso, ma anche – e prima di tutto – la convergenza cordiale all’interno della comunità cattolica. Di conseguenza – è il ragionamento stringente del Papa – anche le «riconciliazioni piccole e medie» rientrano per la forza della comunione nella «vera priorità della Chiesa». Quasi a dire che chi, nella comunità cattolica, si mostra così attento al dialogo con le altre confessioni cristiane e con le altre tradizioni religiose non può poi pretendere che rimanga sbarrata la porta verso una realtà che comunque conta migliaia di fedeli e 491 sacerdoti. In altre parole, che una scelta inclusiva non può essere strumentalmente selettiva. Il che non vuol dire ovviamente che il Papa faccia sconti ai lefebvriani. Anzi, la significativa scelta annunciata nella lettera (e poi si dice che Benedetto XVI non governa…) di collegare la Commissione Ecclesia Dei alla Congregazione per la Dottrina della Fede sta a significare che il dialogo dottrinale sarà serrato fino a una totale chiarificazione e questa non potrà non passare attraverso il riconoscimento del Vaticano II e del magistero pontificio post-conciliare. Ma anche i sedicenti «grandi difensori del Concilio » – e qui torna l’ermeneutica della continuità – devono ricordare che «il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa». Infine, a brillare nella lettera del Papa è il realismo. Che si manifesta soprattutto nell’ultima parte, quando vengono evocate le parole di Paolo ai gàlati («ma se vi mordete e divorate a vicenda…») che tanto hanno eccitato i titolisti dei giornali di ieri. Benedetto XVI ci ricorda che noi oggi, in fondo, non siamo migliori di quei gàlati. E che «purtroppo questo 'mordere e divorare' esiste oggi nella Chiesa come espressione di una libertà male interpretata ». Ma grazie all’intercessione della Madonna della Fiducia egli confida – e pure questo è realismo cristiano – che suo Figlio Gesù ci sarà affidabile guida anche in questi «tempi turbolenti».