Da un lato vi è chi vede nel volontariato un surrogato dell’azione degli enti pubblici, non più in grado di fornire servizi sociali alle fasce deboli della popolazione per le note ragioni di bilancio. Dall’altro chi pensa che il volontariato sia una forma di agire superata, ritenendo realtà come l’impresa sociale, la cooperativa sociale, o enti come le fondazioni capaci di fare di più e meglio ciò che le organizzazioni di volontariato hanno fatto finora. Entrambe le posizioni sono errate, oltre che pericolose.
La prima in quanto le forme di surrogazione ad opera dell’ente pubblico rischiano di produrre una sorta di spiazzamento nel momento in cui il Comune decide di affidare un servizio al mondo del volontariato in virtù del fatto che la sua attività è gratuita per definizione. Così facendo si sottrae l’incarico a un altro soggetto non profit, qual è una cooperativa sociale, determinando una qualche forma di 'guerra tra poveri', col risultato peraltro di snaturare il ruolo del volontariato. La seconda posizione pure è pericolosa, in quanto figlia di un nuovo funzionalismo che pone l’attenzione solo sulle conseguenze delle azioni, e non anche sulla loro motivazione.
È vero infatti che un’impresa sociale è, in linea generale, più efficiente di una organizzazione di volontariato; ma ridursi a questa prospettiva significa accettare supinamente il mito dell’efficienza erigendolo a vitello d’oro dei nostri tempi. La vocazione propria del volontariato, infatti, lo conduce a svolgere più un’azione profetica nel senso preciso del termine. Profeta, cioè, non è colui che anticipa il futuro – questo scopo compete come è noto ai maghi e agli economisti! –, ma chi con coraggio e passione denuncia il presente. Ora, questa vocazione profetica del volontariato non può venire mai meno. La seconda funzione del volontariato è di anticipare le modalità di soluzione dei problemi emergenti nella società. Il volontariato è il soggetto che più di ogni altro mette in pratica il principio di reciprocità, che corrisponde a un 'dare senza prendere' e a un 'prendere senza togliere'. Quando viene meno questa componente fondamentale alimentata dall’agire volontario, una società può dirsi prossima al declino, al collasso.Ecco perché, anche alla luce delle ragioni a tutti note della crisi – finanza pubblica, emergenza di forme di ibridazione tra impresa profit e non profit, una certa stanchezza nella difesa dei valori fondativi della società umana – in definitiva diventa urgente riavviare il discorso istituzionale sul volontariato. Tasto dolente: la prima e unica legge sul volontariato risale al 1991, e da allora la classe politica non ha ancora ritenuto di intervenire su una norma che era sì buona, ma oggi è obsoleta.
Le pressioni emerse nell’ultimo ventennio sono così dirompenti che le norme non interpretano più le esigenze della società e delle organizzazioni. Un esempio: come mai da 10 anni l’adesione dei giovani al volontariato è in calo continuo? Non è solo una ragione demografica. E non è affatto vero che i giovani sono opportunisti o auto-interessati. Anzi: sono molto più generosi delle generazioni precedenti. Il problema è che vogliono fare vero volontariato, non un volontariato che nasce con altri fini, pur legittimi, non compatibili con la vera natura dell’agire volontario.
Per questo alle forze politiche, a maggior ragione in un momento in cui in Parlamento è significativamente ampio il numero di persone che provengono proprio dal mondo del volontariato, va indirizzato un grido affinché ci si affretti a produrre una riforma della legge del ’91 oltre che del Libro I Titolo II del Codice civile. Mentre altri Paesi procedono in questa direzione, si veda la Francia, noi non riusciamo a trovare il tempo per una riforma che comunque non comporterebbe alcun esborso per il bilancio pubblico. Mentre è importante riprendere in mano un processo che in 20 anni si è altamente cloroformizzato, non sottovalutando ciò che nell’opinione generale è chiaro: che meno volontariato conduce la società verso una china pericolosa.