Una riforma giusta e benefica. Quante volte, in questi anni, sotto questo o quel governo, parlando di Giustizia, ci siamo lamentati di riforme sbagliate, contraddittorie, spesso mal scritte, a volte condizionate da interessi corporativi o personali. Ebbene, di fronte al decreto adottato nei giorni scorsi dal governo (in base a una legge delega dell’aprile scorso) e di prossima promulgazione – che prevede la possibilità di archiviare una notizia di reato quando il fatto sia di “particolare tenuità” – si deve finalmente esprimere soddisfazione senza riserve. E costatare che, in questo caso, si è davvero passati dalle parole ai fatti. Una soddisfazione ancor più grande se si considera che – per la prima volta dopo trent’anni! – la riforma è accolta positivamente, insieme, da avvocati e magistrati. Si tratta di una riforma che, da tempo, “Avvenire” invocava come equa e “a costo zero”. Riforma equa: perché la “particolare tenuità” andrà verificata in concreto – soltanto per i reati puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni – tenendo conto della lievità del danno, delle modalità e della non abitualità della condotta. Quindi: non depenalizzazione indiscriminata in base al titolo di reato, ma scelta di buon senso, da praticare caso per caso. Tanto per fare alcuni esempi: si potrà decidere di non procedere, sempre che il responsabile non sia delinquente abituale, per singoli episodi di furto non aggravato (come il furtarello al supermercato immediatamente sventato e con recupero della merce), per piccole violenze non allarmanti, per liti di cortile, per il porto di un coltellino dimenticato in una tasca dei pantaloni; e in tanti altri casi, ancor meno gravi, dove alla violazione formale di una delle innumerevoli norme penali che costellano il nostro ordinamento non corrisponde un reale danno sociale. Considerando che spesso tale danno è infinitamente inferiore alle risorse che lo Stato deve impiegare per celebrare un processo che prevede tre gradi di giudizio. Dunque: riforma non solo “a costo zero”, ma destinata a produrre grandi risparmi, riducendo quell’enorme arretrato che rallenta tutta la macchina della giustizia e affida spesso le sorti del fascicolo all’indiscriminato decorso del tempo, provocando critiche e pesanti condanne di risarcimento inflitte all’Italia dall’Europa. Riforma che potrà provocare nuova efficienza: perché lo sfoltimento di tanti processi inutili consentirà ai magistrati di procedere più celermente per i reati più gravi. Sarà il giudice, su richiesta del pubblico ministero, a dichiarare l’irrilevanza del fatto: soluzione molto saggia che evita il rischio – presente in altri ordinamenti – di archiviazioni arbitrarie e incontrollate. Proprio questo intervento di due magistrati di diversi uffici fa ritenere che l’archiviazione per particolare tenuità del fatto non intacchi il principio di obbligatorietà dell’azione penale sancito nell’art. 112 della Costituzione. E infatti, la Corte Costituzionale, con una sentenza del 2003, ha escluso questo rischio con riferimento all’identico meccanismo “deflattivo” già previsto nel processo penale minorile (e che nel 2000 è stato esteso per i reati di competenza del giudice di pace). Infine, la riforma ha un pregio ulteriore: formalizza la discrezionalità di fatto che già fino ad oggi il pubblico ministero era costretto ad esercitare con alcune scelte di priorità nella trattazione dei fascicoli; rendendo queste scelte chiare, trasparenti e dunque “leggibili” e criticabili dalla parte lesa e dalla pubblica opinione. Anche per questo, si tratta di una buona riforma. Perché questa discrezionalità, che i magistrati in passato hanno spesso voluto negare, viene ora riconosciuta come indispensabile e dunque legittimata. Si svelenisce così la discussione su un punto che, negli ultimi vent’anni, è stato terreno di accese polemiche. La convergenza di giudizi positivi tra avvocati e magistrati, che abbiamo rilevato, è già un frutto di questo svelenimento.