«Chi troppo vuole nulla stringe», recita un antico adagio. E stringe il cuore a ritrovarselo in mente davanti all’ultimo calendario dei lavori d’aula del Senato in questa XVII legislatura sempre più vicina alla conclusione. Ieri, infatti, sono state stabilite priorità che rischiano di vanificare percorsi legislativi importanti e controversi, che avrebbero meritato, non meline e giochi di forza e di prestigio, ma discussioni serene e aperte al cospetto dell’opinione pubblica e che ora rischiano di finire in un pantano deludente e persino increscioso.
Il senso sbagliato di questo calendario sta nel suo principio e nella sua fine. Che appaiono capovolti. Si è deciso di cominciare dalla fine (della vita), cioè dall’imperfetta legge che la Camera ha confezionato sulle Dat (le Dichiarazioni anticipate di trattamento trasformate, strada facendo, in secche Disposizioni), e non solo per ciò che essa effettivamente dice, ma per ciò che le si vorrebbe far dire verso una eutanasia omissiva, agevolata dalla rottura del principio di «alleanza terapeutica» tra paziente e medico (con la riduzione di quest’ultimo a mero esecutore di volontà altrui). E si lascia presagire il calcolato sacrificio del gran principio inclusivo che avrebbe dovuto e potuto finalmente governare più responsabili e lungimiranti condizioni di cittadinanza, e questo a causa dell’ultimo e davvero residuale posto assegnato alle regole su ius culturae e ius soli temperato.
È impossibile e un po’ folle prevedere il futuro. E per di più l’esperienza fatta durante l’iter alla Camera del cosiddetto biotestamento ha confermato che non bisogna fidarsi delle parole dette, ma fare i conti con le posizioni in realtà tenute. E i numeri rivelano con crudezza che appena 37 deputati su 630 hanno infine dato un motivato "no" a questa legge sulle Dat. Gli altri magari dissentivano davvero, ma non c’erano. Poiché ora il coro trasversale dei favorevoli sembra persino più ampio si potrebbe immaginare un varo rapido e irriflessivo.
Ma non serve un particolare intuito per rendersi conto che la debolezza in Senato della maggioranza che ha sin qui sorretto il Governo annuncia un dibattito caldo, votazioni incandescenti e manovre tese a mettere a nudo la fragilità del Pd. E che questo congiura per avvelenare definitivamente il clima e incenerire le possibilità di chiudere con decenza 5 anni di lavoro molto più ricchi e intensi (nel bene e nel male) di quanto ci si potesse attendere dal "Parlamento impossibile" generato dall’esito tripolare del voto 2013.
Se fosse toccato a noi decidere, non è un mistero che avremmo portato al voto con urgenza la legge sui vitalizi parlamentari, assieme a quelle per i figli resi orfani da femminicidio, per i caregiver (i familiari che assistono i propri cari disabili e/o malati) e per le professioni educative. E che avremmo garantito una corsia speciale proprio per la legge sulla cittadinanza, attesa da anni e meritata da almeno 800mila giovani che già sono per nascita e studi (e lavoro dei loro genitori) "italiani di lingua e di cultura", concittadini importanti e preziosi. Vorremmo essere stupiti da un Senato capace di non votarsi a una fine triste e persino ingloriosa.