Quanto deciso ieri dal Governo per Roma (sindaco incredibilmente assente) formalmente non è un commissariamento, piuttosto un affiancamento, pur se molto pesante. Una vera e propria tutela affidata al prefetto della Capitale,
Franco Gabrielli. Non si scioglie per infiltrazione mafiosa la struttura, ma si mettono sotto stretto controllo gli atti del Comune sia per il Giubileo sia nei settori che hanno dimostrato di essere più permeabili alle infiltrazioni mafiose, quelle 'romane de Roma' e quelle importate. Per verde pubblico e ambiente, emergenza abitativa, immigrazione, campi nomadi, terreni di caccia per Buzzi, Carminati e soci, ma anche per camorra e ’ndrangheta e per i sottovalutati Casamonica, l’amministrazione comunale dovrà operare in accordo con Gabrielli che non è un prefetto qualunque. In lui convivono le esperienze di brillante investigatore (alla guida della Digos e poi al Sisde) e di uomo delle emergenze chiamato a risollevare la Protezione civile dai guasti della 'cricca'. Si è scelto, non a caso, un 'uomo del ben fare' per evitare a Roma scelte politicamente e mediaticamente devastanti. Ieri sul web girava la battuta «se si fosse chiamata Taurianova, Roma sarebbe già stata sciolta», con riferimento al Comune calabrese, il primo a essere sciolto per mafia nel 1991 e giunto ormai al terzo commissariamento. Un po’ ingeneroso, ma sicuramente non è stato facile prima per il ministro Alfano e poi per l’intero governo scegliere una strada più soft, anzi meno hard. Anche se non si è potuto evitare, ed è stato più che opportuno, di commissariare Ostia. Per Roma si è invece scelto di anticipare alcuni elementi della riforma sui Comuni sciolti per mafia sulla quale da più di un anno sta lavorando (ma non sarebbe il caso di accelerare?) il viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico, affiancato dall’ex ministro per gli Affari regionali, Carmela Lanzetta. Una riforma che intende introdurre appunto l’«affiancamento» per i Comuni a rischio, evitando il drastico scioglimento, intervenendo anche sulla struttura burocratica proprio come ha deciso di fare il governo per quella romana. Una scelta, questa, su cui pesa l’importante appuntamento del Giubileo che richiamerà a Roma non solo milioni di pellegrini, ma purtroppo scatenerà anche appetiti criminali e che perciò richiede, dopo tanta opacità e vischiosità, decisioni rapide e trasparenti, affidate a una cabina di regia guidata dal prefetto mentre gli appalti vedranno il controllo, stile Expo, di Raffaele Cantone, altro 'uomo del ben fare'. Appuntamento che soprattutto richiede istituzioni presenti, quelle che hanno recentemente latitato in occasione del funerale del capo del clan Casamonica. Latitanza che, ieri, si è simbolicamente incarnata nella figura di un sindaco in vacanza ai Caraibi, proprio nel giorno di decisioni così delicate. Non è la prima volta. Ricordiamo quando il 6 novembre 2014 Roma finì sott’acqua e Marino, invece di essere in strada, nel fango, tra i romani, preferì volare a Milano per un convegno dell’Anci. Roma, ora, è ancora nel fango, una poltiglia ancora più mefitica, e il sindaco evidentemente preferisce le sabbie caraibiche da dove ha ieri inviato messaggi. Ancor più giusta, dunque, la 'tutela' affidata al prefetto Gabrielli che spesso in questi anni nel fango invece c’è andato, ma per risolvere i problemi. Una tutela che però sembra davvero un’ultima chance per un sindaco che non sembra aver capito qual è l’esemplare ruolo che spetta, e più che mai in questa fase, a chi amministra una metropoli che è la capitale d’Italia e, non solo per i cristiani, un prezioso cuore del mondo.