Ogni anno in Italia muoiono centinaia di persone in incidenti sui luoghi di lavoro. Sì, le cifre assolute, seppur in calo, restano altissime: 1.120 morti nel 2008. E questo nonostante le numerose leggi e i tanti provvedimenti in vigore a tutela della sicurezza dei lavoratori. Trascuratezze nell’applicazione delle norme, sottovalutazione dei pericoli, errori umani e guasti dei macchinari, fatalità: le cause, ovviamente, sono molte e diverse tra loro, ma è un fatto che di quel ' lavoro' che nel primo articolo della Costituzione è individuato come fondamento della Repubblica, si continua a morire. Qualche clamore, discorsi, a volte esequie solenni, rabbia, dolore; poi con il passare dei giorni su questi fatti dolorosi scende inesorabilmente il velo opaco dell’oblio. Quella dimenticanza che è poi la causa efficiente del ricorrente pressappochismo con il quale si continuano ad affrontare i rischi dei mestieri più pericolosi. Un circuito perverso che dovrebbe essere interrotto, non tanto con nuovi provvedimenti perché già esistono normative rigorose, quanto piuttosto con un impegno culturale più evidente, e l’occasione potrebbe essere compresa tra le tante iniziative poste in cantiere per ricordare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Riconoscendo così che questo risultato giustamente ancora celebrato, comprende al proprio interno non solo le testimonianze spesso coraggiose ed eroiche di quanti, sul terreno politico e sui campi di battaglia, si sono battuti per l’unificazione del Paese, ma anche il contributo silenzioso di tutti coloro che, pur non in armi, questo Paese hanno contribuito ad edificarlo e ad arricchirlo con l’ingegno e il lavoro. Giustamente in occasione della festa della Repubblica, ai principali soggetti dell’economia, viene conferito come riconoscimento onorifico il titolo di ' Cavaliere del Lavoro'; ma è fin troppo ovvio osservare che parte di quei riconoscimenti andrebbe proporzionalmente distribuito ai dipendenti più meritevoli delle imprese degli industriali ascritti a quel rango prestigioso. E tanto più quando c’è chi per il raggiungimento degli importanti livelli produttivi, finisce per rimetterci la vita. E allora non si capisce perché, come giustamente si ricordano i caduti delle Forze armate ( che compaiono in Costituzione all’articolo 52), non si possa fare altrettanto per i caduti sul lavoro. Migliaia di storie e di nomi da poter riempire un intero sacrario, se ve ne fosse uno dedicato al loro sacrificio. Nomi e storie quasi sempre umili, da affidare alla memoria, per evidenziare l’importanza del lavoro nella storia di quello Stato che presto compirà 150 anni di vita. Un memoriale ( e sarebbe bello pensare a qualche progetto da realizzare per il 2011) tanto più necessario se si pensa ai gravissimi problemi del lavoro in questo periodo di crisi economica. Un memoriale che ricordi la centralità di quel lavoro che – come disse Giovanni Paolo II – rende l’uomo più uomo. È giusto festeggiare gli anni dell’Italia unita, ma se si vuole che il festeggiamento sia più condiviso, occorrerà mettere in cantiere qualche progetto che ricordi il sacrificio dei lavoratori, e più ancora quell’umanesimo che nell’intrapresa del lavoro prende forma, e dà fiducia alle generazioni nuove che lo cercano e faticano a trovarlo.