Mentre in Senato procedono i lavori di commissione per una decente legge sulla fine della vita, c’è un rischio che va profilandosi e del quale bisogna prendere atto con inevitabile e giusto allarme. Il grande impegno, dopo l’infausta stagione delle « sentenze creative » e la tragedia del caso Englaro, per ristabilire i principi cardine del nostro ordinamento e per affermare il primato della legge, potrebbe infatti lasciare il passo più che a una normativa semplice, chiara e ben applicabile, a una serie di regole di complessa interpretazione e di ambiguo orientamento. Un esito, questo, che non ci riporterebbe solo al punto di partenza, ma aggraverebbe la situazione: il principio della inviolabilità della vita umana sarebbe affermato con formale solennità ma declinato in modo tutt’altro che conseguente; le operazioni scassa- ordinamento avviate in spezzoni della società civile dal fronte filo- eutanasia avrebbero nuove possibilità di essere perseguite; il primato della legge non verrebbe effettivamente ristabilito e si creerebbe anzi una sorta di nuova cornice alla vecchia ambizione di « far avanzare il diritto » nelle aule di giustizia per opera di gruppi di autoproclamati illuminati. Usiamo il condizionale, ma il sì di ieri all’emendamento del pidiellino Centaro che, in un clima di confusione, ha reso « vincolanti » le Dichiarazioni anticipate di trattamento ( Dat) induce a seria preoccupazione. Dopo alcune cannonate d’assaggio, con questa decisione è arrivata una bordata che all’improvviso stravolge volto e senso dell’articolo 6, annunciando una manomissione a cascata dell’impianto della legge. Non è facile dire con esattezza come si sia potuto arrivare a questo. Ci sono però, come sospese nell’aria, delle domande. Si è trattato davvero di un momento di sbadataggine maturato nella concitazione ( e disattenzione)? O di una complessa manovra senza speranza, andata in porto quasi per caso? O dobbiamo, piuttosto, ritenere che l’apparentemente pleonastico richiamo alla « libertà di coscienza » fatto domenica scorsa dal presidente del Consiglio in un’intervista al giornale spagnolo El Mundo sia stato invece prontamente interpretato da precisi settori del Pdl come una sorta di « rompete le righe » e, soprattutto, come un « rompete la legge»? All’Italia serve una normativa buona e chiara sul fine vita, non risposte polemiche. Chi, magari con le migliori intenzioni, ha consentito che si cominciasse a corrodere dall’interno l’impianto del ddl Calabrò ha il dovere di aprire gli occhi e di agire presto. La consapevolezza emersa sul finire di giornata da una serie di dichiarazioni lo confermerebbe: c’è modo per rimettere le cose a posto.