Nulla di nuovo, sinceramente. Ma molto di rivoluzionario, di questi tempi. Un’agenda strettamente tecnica di cose da fare e al tempo stesso l’apertura di un orizzonte di futuro. Che tratteggia un’Italia «riscattata», ricollocata al suo posto – al centro dell’Europa che ha contribuito a formare nei suoi ideali e a costruire nelle sue strutture – finalmente libera di riprendere in mano il proprio destino dopo essersi guardata dentro con onestà.
Il discorso programmatico del nuovo presidente del Consiglio non sorprende né emoziona più di tanto. Le concessioni alla retorica sono poche, le frasi a effetto ancor meno. L’esposizione è quasi piatta, fin troppo facile definirla 'professorale'. Per certi versi, però, assume i tratti dell’esame di coscienza collettivo. Ecco 'i nostri mali', sembra dire Mario Monti spiegando ciò che non va. Ecco 'l’atto di umiltà' per riscattarsi, con «un governo di impegno nazionale per affrontare in spirito costruttivo e unitario una situazione di seria emergenza». Perché il nodo è questo: siamo in una tempesta finanziaria che può travolgere la nostra economia e la nostra società, che può portarci a una bancarotta della quale a pagare il prezzo maggiore sarebbero i più deboli.
Un destino che però non è segnato. Non ancora, almeno, se si prova a rimettere in carreggiata il Paese. Per farlo le ricette sono note, in parte addirittura già avviate dal precedente governo, anche se con poca convinzione e qualche confusione. Perciò diciamo che non c’è nulla di nuovo nel sentire menzionare una riforma della previdenza. Molto è stato fatto, siamo meglio attrezzati dei tedeschi – ha riconosciuto lo stesso Monti –, ma occorre colmare le troppe disparità di trattamento tra le generazioni e le varie categorie, superare i privilegi. E così pure per l’annosa questione della flessibilità in entrata e in uscita dal lavoro. Il presidente del Consiglio ha fatto indiretto riferimento a progetti che sono in Parlamento da anni, dei quali si dibatte da tempo immemore senza il coraggio di decidere, senza l’onestà intellettuale – in un fronte come nell’altro – di mettere da parte le preclusioni ideologiche e di avviare una sperimentazione. Ai nuovi assunti, ai giovani è possibile proporre un nuovo patto: maggiore stabilità del rapporto in cambio della rinuncia alla inamovibilità. Maggiore protezione in caso di disoccupazione in cambio della falsa sicurezza di un 'posto fisso' conquistato dopo decenni di precariato. Giovani il cui livello di istruzione va elevato e che, nelle parole del premier, dovranno rappresentare il «fine» dell’azione di governo. Assieme alla valorizzazione del lavoro femminile e a politiche a favore della natalità. Come a dire: una scommessa sul nostro capitale umano.
La ricetta che il presidente del Consiglio ha esposto ieri – con la re-introduzione dell’Ici sulla prima casa, un’imposta patrimoniale che rimane per ora fra le opzioni (senza essere stata decisa) e una riforma fiscale che si propone di spostare il peso del prelievo dalla produzione al possesso e al consumo – rappresenta al tempo stesso l’intervento immediato (e vedremo quanto amaro) contro l’emergenza e l’impostazione di un progetto di lungo respiro per far tornare a crescere il Paese. Crescita economica, certo. Senza la quale non c’è futuro né sui mercati né in Europa. Ma crescita soprattutto sociale, se davvero Monti e la sua squadra di tecnici sapranno sposare sacrifici e sviluppo, rigore ed equità, cioè trovare quell’equilibrio che convince, coinvolge e rende chiaro a tutti che cos’è il bene comune.
Nelle parole del presidente del Consiglio, ieri, c’era non solo «l’ossequioso» e «umile» rispetto della primazìa della politica e delle sue istituzioni, ma soprattutto la richiesta al Parlamento di lavorare insieme, ai partiti (e alle parti sociali) di impegnarsi in una leale collaborazione per servire il Paese. L’esecutivo Monti, che ieri ha ricevuto un’ampia fiducia in Senato, è il governo dell’ossimoro. Nasce forte della debolezza propria e del Paese. Tanto alternativo quanto dipendente dai partiti. Così necessario da poter essere spento in un soffio. Figlio di una tregua rivoluzionaria. In fondo, un governo di nessuno. Che la politica ha l’occasione di far diventare il governo di tutti. Per tutti. Politica alla massima potenza.