Nel flusso risonante delle notizie che provengono dall’Ucraina e che affollano i mass media in tutto il mondo si è infiltrata una voce quasi impercettibile: il 19 giugno scorso il Dipartimento degli affari religiosi e nazionali presso il Ministero della Cultura ha qualificato un’eventuale visita in Ucraina del patriarca Cirillo di Mosca come «indesiderabile, provocatoria e politicamente impegnata». Si tratta, sicuramente, di un atto offensivo nei confronti del capo di una Chiesa che per quasi la metà (più di 12mila parrocchie e 150 monasteri) si trova in territorio ucraino. «Una tale visita – si legge nella dichiarazione ufficiale – sarà possibile solo dopo la cessazione dell’aggressione da parte della Russia e la restituzione di tutti i territori ucraini conquistati». In pratica, mai. La stessa parola 'russo' – sostantivo e aggettivo – oggi è diventata in Ucraina un campo di battaglia, lo spazio dello scontro delle passioni, dell’odio e dell’amore, della paura, della speranza e invade anche la vita ecclesiale. Questa vita in Ucraina era più che complicata anche prima dell’attuale ostilità. L’ecclesiologia ortodossa s’appoggia sulla formula paolina: «La Chiesa di Dio che è in Corinto» (1Cor 1, 2). In Corinto, come in qualsiasi altro Paese, allora come oggi, esiste solo una Chiesa di Dio, ortodossa e canonica. Tuttavia, accanto alla Metropolia di Kiev, che dipende da Mosca, esistono anche altre due Chiese ortodosse 'scismatiche': il patriarcato di Kiev (con quasi 5.000 parrocchie) e la Chiesa autocefala (con 1.200 parrocchie). Senza dimenticare, inoltre, la Chiesa grecocattolica (rinata dalle catacombe alla fine degli anni 80 del secolo scorso) e la Chiesa cattolica romana: esse hanno rispettivamente 3.700 parrocchie l’una e più di 900 l’altra. Ci sono anche varie Chiese evangeliche, presenti con circa 3.000 comunità. Delle tre 'Chiese di Dio' ortodosse due sono considerate canonicamente illegittime, pur avendo milioni di fedeli. Una situazione assurda che gli avvenimenti di Kiev hanno messo in risalto ancora di più. Nella tradizione ortodossa ciò che è illegittimo è anche non valido: le cresime, i matrimoni, le ordinazioni celebrate da un vescovo/prete che è fuori della comunione (anche se è l’unico nella zona) sono nulla per la Chiesa canonica.Prima di questa aspra crisi la posizione della Chiesa di Mosca nei confronti degli altri ortodossi ucraini era senza compromessi: chi vuole essere salvato, deve abbandonare lo scisma e tornare da noi. Nell’ultimo anno si è profilato un tentativo di dialogo tra tutte le giurisdizioni ucraine, sgradito al Patriarcato di Mosca per il quale l’incubo più grande è la separazione della propria metropolia di Kiev. Nei giorni di Maidan, poi, le Chiese non canoniche, dall’orientamento apertamente nazionale, hanno guadagnato molto nell’opinione pubblica pro-ucraina. I loro sacerdoti (a volte, insieme con quelli di Mosca) hanno partecipato alla rivoluzione; il Patriarcato di Kiev ha approntato un ospedale da campo nella propria cattedrale. Oggi più della metà dei chierici canonici vogliono l’indipendenza, cioè l’autocefalia (che non si sa da dove possa arrivare), ma esiste anche una forte minoranza che è – persino fanaticamente – contro l’allontanamento dalla Chiesa madre. La scelta del Patriarca è difficile; non è lui che ha provocato la crisi ucraina, ma deve pagarne i conti per primo. Il patetico appello alla pace che si ripete serve a poco, mentre le due parti in conflitto sono ben motivate: l’una vuole liberare la patria dai separatisti, terroristi e mercenari russi, l’altra vuole difendere le piccole repubbliche russofone dai «fascisti di Maidan». Ogni fazione aspetta il sostegno diretto e non ambiguo alla propria causa da parte del Patriarca – che egli non può dare senza rischiare la perdita di un grosso pezzo del proprio gregge e senza sfidare il potere civile, sia russo sia ucraino. Per quanto riguarda Kiev, la posizione ucraina dal primo giorno dell’indipendenza (1991) è inequivocabile: vogliamo una Chiesa ortodossa nostra, ucraina, indipendente. Il titolo di persona non grata gettato al Patriarca Cirillo dall’attuale governo reca il medesimo messaggio: via Mosca dal nostro territorio, viva l’autocefalia. Ma si può plasmare la Chiesa di Dio con le mani di Cesare?
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