C’è una particolare enfasi nelle parole usate dai media per il G8 che comincia oggi all’Aquila. 'I potenti della Terra' è un’espressione non riservata ai precedenti summit, con questa frequenza, almeno. È un’espressione suggestiva, arcaica, di certo ispirata dalla contrapposizione tra l’evento mondiale e la piccola città che lo ospita, così diversa dalle capitali o dalle città storiche, di solito prescelte dal Paese ospitante quale palcoscenico per l’affaccio dei grandi, dei potenti della terra. È il Vangelo ad apprestare il più famoso precedente per questa locuzione, in una delle pagine più liriche, misteriose e profetiche di Luca, il Magnificat della Vergine, tutto costruito, nel riecheggiare il Salmista, proprio sulla contrapposizione tra grandi e piccoli, potenti e umili, troni e terra. Dei potenti di oggi nessuno manca all’Aquila. Vengono dai quattro angoli del globo. Nel Vecchio Testamento i loro regni si fermavano al mare, confine di tutto, o al massimo alle 'isole oltre il mare' (i continenti), e su stuoli di dromedari di Madian e di Efa viaggiava la loro ricchezza. Oggi viaggia su transazioni finanziarie, che si rincorrono ininterrottamente da un capo all’altro del pianeta. I grandi sono tutti qui, tra i monti dell’Abruzzo, non lontano da quella Roma, che al tempo del Magnificat era capitale di un impero ritenuto eterno e invincibile. Come tutto è transitorio. Come questi stessi luoghi, un tempo di potenza, guardati con gli occhi di allora, parrebbero oggi irriconoscibili. Come ogni potenza è, davvero, destinata a essere rovesciata dal suo trono. Nei giorni scorsi su questa contrapposizione tra potenti e umili si è ascoltata la voce del Papa, primo capo di Stato – va detto – oltre che capo della Cristianità, a visitare l’Aquila due mesi or sono, dalla devastata Onna alla basilica di Collemaggio dov’è sepolto il suo predecessore Celestino V, il papa abruzzese che nel 1294 trovò più impervio ascendere al soglio di Pietro che ai dirupati monti aquilani, per cui abdicò, caso unico nella storia e molto, molto iconico di una certa indomabile 'abruzzesità', orgogliosamente coltivata dai suoi corregionali; Benedetto XVI entrò nella basilica semidistrutta, tra i patemi della Security, e depose il suo primo pallio sulla teca che contiene i resti di Celestino. Il Papa si è ora rivolto ai potenti con l’unica voce che può parlare, senza soggezione, di transitorietà del loro stato e richiamarli alle loro responsabilità. Tutti hanno sentito le sue parole: occorre un’architettura finanziaria più sensibile ai bisogni del mondo; occorre che i grandi non distolgano lo sguardo dalla preghiera senza parole degli umili, lontani dalla scena del mondo e dal suo passaggio. Anche in questo caso, nel rovesciamento della prospettiva ricchi/poveri, potenti/impotenti è l’elemento temporale a giocare un ruolo eversivo. Non solo perché i potenti passano col trascorrere della scena del mondo, ma anche perché 'i poveri' - sono parole del Cristo – «li avrete sempre con voi», icona di ciò che l’uomo è, nonché misura di come l’altro uomo, il potente, esercita, nel soccorrere il bisogno, le frazioni di potestas a Deo che gli sono state conferite; la messa a frutto, o viceversa il seppellimento, dei talenti affidatigli. La sede in cui si svolge il G8 è dunque in particolare sintonia con il messaggio di Benedetto XVI. L’Aquila è oggi humilis, perché in più parti «eguagliata alla terra», «fatta pari al suolo», come scrivevano gli storici, rappresentandone la condizione dopo il terrificante sisma del 1703 che causò 4500 morti, e dopo il quale la città risorse per farsi più bella, come sarebbe rimasta fino al 6 aprile 2009. Chi s’intende di cose abruzzesi sa che tre anni dopo, nel 1706, un altrettanto spaventoso sisma devastò, sempre nell’Aquilano, Sulmona (anch’essa terra di papi, come Innocenzo VII), provocando 1.000 morti; e il pontefice Clemente XI, mosso a compassione per la città di Ovidio, ne promosse con stupende chiese la rinascita. Più dolorosa di tutte è poi la storia della diocesi marsicana, atterrata nel 1915 con 25.000 morti, dove rifulse l’opera di don Orione. Questo G9 porta tutto il mondo in un epicentro di secolare dolore, unito a grande bellezza dei luoghi. Il messaggio che il Papa manda ai potenti della terra è dunque carico di simboli che il terremoto evoca e riattualizza. Con esso il terremoto acquisisce una valenza non più solo fisica, bensì metafisica. I poveri sono oggi all’Aquila attraverso la voce del Papa, di fronte ai potenti della Terra. Il misero, il diseredato stanno già guardando negli occhi il grande, il potente, per vedere se verrà rispettato il comandamento - che viene dall’unico centro di ogni grandezza e potenza - d’essere ascoltato, rispettato, aiutato e cioè in una parola amato; o se anche questo summit, come i precedenti, si risolverà in una parata con finale dichiarazione d’intenti a lungo termine, nell’ambito di un evento meramente rivestito di solidarietà, per la sede in cui si svolge; se il 2009 rappresenterà un avanzamento o un’ulteriore dilazione degli impegni in tema di salute, sviluppo e ambiente fissati nel 2000 per il 2015, e oggi del tutto remoti come raggiungimento. All’Aquila, centro e icona del mondo, si ritrovano oggi il ricco e il povero. Il potente e l’impotente. Il giudice che non teme Dio e la vedova bisognosa di giustizia. Epulone e Lazzaro. Nella dialettica tra questi due poli passa tutta la storia dell’uomo, l’ha detto Colui che ne guardava l’Alfa e l’Omega.