Cosa dice il Papa a quelli che chiama 'fratelli', nel salutarli? «Non cediamo mai al pessimismo, a quell’amarezza che il diavolo ci offre ogni giorno; non cediamo al pessimismo e allo scoraggiamento; abbiamo la ferma certezza che lo Spirito Santo dona alla Chiesa, con il suo soffio possente, il coraggio di perseverare».
C’è un eco del primo Giovanni Paolo II, di quel «Non abbiate paura!» che colmò piazza San Pietro e percosse il cuore di milioni di uomini – come un bussare forte, poderoso, a una porta chiusa. E una traccia del Benedetto XVI della Spe Salvi , là dove con franchezza si domandava se «la fede cristiana è anche per noi oggi una speranza che trasforma e sorregge la nostra vita», o invece un dato vecchio, accantonato. C’è una continuità evidente, perché l’eredità di Cristo in Pietro si incarna nella storia; e la storia poi, dal Novecento, è fatta da noi, uomini particolarmente inclini a una tristezza sorda, o al nulla.
Pessimismo, lo chiama il Papa, e lo definisce «quell’amarezza che il diavolo ci offre ogni giorno». Non la conosciamo forse bene la voce che insinua: vedi, anche oggi tutto come prima, ogni fatica inutile, e il tempo passa, e il bene che vorresti non è mai qui, mai adesso? Ne beviamo a caraffe di questa amarezza, e neanche consci spesso che in ciò ci sia del male. Realismo, lo chiamiamo anzi, o adulta lucidità; e allora già lo scoraggiamento di un momento attecchisce, si fa cinismo, che non crede in niente e giudica ogni speranza una illusione per bambini, o per sciocchi. E rode, rode, l’«amarezza del diavolo», e intacca e svuota. O forse è, una tale incrinatura, qualcosa di generazionale, lasciataci dai nostri padri passati per la guerra, per l’Olocausto, per lo sfacelo? A Torino, davanti alla Sindone, tre anni fa Benedetto XVI parlò di questa «notte del Sabato» che ha marchiato il nostro tempo ( come se, avendo visto tanto buio, non si riuscisse più a credere alla luce). Comunque i tre Pontefici a noi contemporanei tornano a chinarsi su questa nostra crepa dell’anima; per dire, come Benedetto XVI pochi giorni fa, che è Cristo, che conduce la sua Chiesa, e non l’abbandona. Per ridire, come Francesco ieri, la ferma certezza dello Spirito, e del suo «soffio possente». E eredità tramandata da entrambi i predecessori è anche la certezza sovrana del cristianesimo bello in quanto umanamente vero, quando Papa Francesco dice : «La verità cristiana è attraente e persuasiva perché risponde al bisogno profondo dell’esistenza umana».
Dentro a uno sguardo certo, perfino le diversità di visioni e carismi che ci fanno credere a volte a una Chiesa divisa, e guardarci fra noi stessi con diffidenza, nello sguardo del Papa hanno una altra connotazione. Li deve avere visti, nei suoi 114 fratelli, quegli accenti, quelle tensioni disuguali; e commenta, come sorridendo fra sé : «Il Paraclito fa tutte le differenze nelle Chiese, e sembra che sia un apostolo di Babele».... Ma lo Spirito, aggiunge Francesco, «è Colui che fa l’unità di queste differenze, non nella 'ugualità', ma nell’armonia».
«Cari fratelli, forza!», è l’ultima incitazione del Papa, e pare quella di un allenatore, quando si torna in campo. Dentro a uno sguardo come quello di Jorge Mario Bergoglio tutto è accolto, abbracciato. Ha detto ieri, il nostro nuovo Papa, di Benedetto XVI «sempre fisso a Cristo, Cristo risorto, presente e vivo», e sappiamo quanto è vero. Ma, è un fatto, uomini così, uno dopo l’altro, escono dal Conclave; e già questo dovrebbe incrinare i nostri dubbi, e intaccare il nostro pessimismo mondano. Con tutti i mali veri o presunti e scandali e oscurità della Chiesa, uomini così, sul soglio di Pietro, ci vengono dati. E questo almeno dovrebbe indurci alla vera domanda; questo, forse, può indurci a una fondata speranza.