giovedì 28 marzo 2013
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Se anche un tenace difensore dei diritti delle famiglie di fronte alla tv come Luca Borgomeo, il presidente dell’associazione di telespettatori cattolici Aiart, sventola bandiera bianca, vuol dire che siamo proprio messi male. Borgomeo si è dimesso ieri da presidente del Comitato Nazionale Utenti, ente di tutela dei telespettatori previsto nella legge istitutiva dell’Agcom, proprio in polemica contro l’Autorità Garante per le Comunicazioni colpevole, sostiene, di tutelare «più gli interessi di Mediaset e Rai che non quelli dei cittadini».
Al di là della goccia che ha fatto traboccare il vaso – l’ok dell’Agcom alla rimessa in onda su Rai4 della provocatoria fiction «Chimica o fisica» – è il panorama generale ad essere sempre più desolante e il senso di accerchiamento dei telespettatori che rivendicano tutele per i loro figli, sempre più opprimente. Basti pensare che nella recente campagna elettorale nessun partito ha menzionato la questione media e minori. Ovvio, sul piatto c’erano temi più caldi e stringenti da affrontare, a partire dalla drammatica crisi economica del nostro Paese. Ma riteniamo che la crisi intellettuale ed etica rispecchiata (e spesso provocata) da certa televisione non sia certo da sottovalutare. E i cittadini sono assaliti da un sentimento di impotenza, quando vedono le loro giuste proteste o le segnalazioni di violazioni finire lettera morta.
Tantopiù che è stato smantellato da 15 mesi l’unico strumento che aveva un (limitato) potere d’azione, il Comitato Media Minori recepito dalla legge Gasparri del 2005 che aveva il compito di segnalare le violazioni al Codice di autoregolamentazione al Garante, che poi avrebbe comminato le sanzioni alle emittenti. Sanzioni che negli anni sono arrivate anche se in misura assolutamente minore rispetto ai crescenti «strappi» alla buona tv. Con l’abnorme moltiplicarsi dei canali tv, digitali e satellitari, gli interessi delle emittenti si sono potenzianti di pari passo con l’affievolirsi delle tutele dei telespettatori. A partire dalla riforma varata l’estate scorsa da Governo e Parlamento (che ha evitato una proceduta d’infrazione europea) sancendo di fatto la liberalizzazione dei palinsesti.
Formalmente sussistono ancora le cosiddette «fasce protette». che impediscono di trasmettere programmi inadatti durante la giornata e in prima sera, relegandoli nell’orario compreso fra le 22.30 e le 7. Un argine che è all’origine di gran parte delle violazioni e che da agosto 2012 può essere abbattuto se i televisori possiedono gli «accorgimenti tecnici» che bloccano la visione di film e rubriche nocive per i più piccoli. E oggi gli schermi digitali e i decoder li hanno sotto il nome di «parental control». Quindi i filtri elettronici sono entrati nel decreto legislativo come alternativa alle fasce protette, che ovviamente restano, ma rischiano così di essere snaturate.
Tutto finisce sulle spalle dei genitori, i quali devono attivare il filtro che intercetta sì i programmi 'sconsigliati' (e si tratta solo dei film), ma secondo criteri stabiliti dalle singole emittenti come Sky e Mediaset. La Rai invece non applica il «parental control» sostenendo di rispettare le fasce protette. Nel caso non lo faccia, a decidere, come dicevamo, è l’Agcom. Che, torniano al telefilm di Rai4, zeppo di temi e scene scottanti in fascia protetta, finisce spesso per giustificare le emittenti. Gioverebbe ricordare una sacrosanta verità, contenuta nel Codice Media e Minori: «Il minore ha bisogno di essere tutelato da trasmissioni che possono nuocere alla sua integrità psichica e morale».
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