Il nostro Paese è terra sacra. Ogni angolo è segnato dalla presenza cristiana, che si è espressa in due millenni di storia anche attraverso le arti, l’architettura e le vie della fede, disegnando in profondità il paesaggio italiano. La grande eredità di pievi, abbazie, santuari, basiliche non può essere relegata a storia gloriosa di un passato che fu, ma può e deve essere uno straordinario "progetto culturale". Questa geografia sacra, cresciuta e sedimentata attraverso i secoli, può tornare a parlare nella sua pienezza grazie alle comunità che la abitano e che possono rendere vitale il rapporto tra fede, arte e memoria. Il primo passo è la presa di coscienza e la riappropriazione piena del tesoro di cui siamo custodi. Da qui l’idea di Parco culturale ecclesiale (Pa.c.e.) che presentai in un incontro con alcuni direttori di uffici Cei a Lucca nel novembre 2007, a dieci anni dalla nascita del mensile di Avvenire "Luoghi dell’infinito", idea che fu subito fatta propria e condivisa da don Mario Lusek, responsabile per la Pastorale del turismo, e poi elaborata come progetto dalla Fondazione Crocevia. Oggi sarà presentato a Chieti il progetto pilota "Terre celesti" (di cui parliamo nelle pagine di Catholica): l’obiettivo è un sistema territoriale che promuova, recuperi e valorizzi il patrimonio liturgico, storico, artistico e recettivo attraverso la messa in rete degli eremi celestiniani della Majella, di alcune abbazie benedettine e delle comunità locali. Progetto che si affianca a quello delle "Terre di Senigallia", messo a punto dall’Ufficio Cei per la Pastorale del turismo con la diocesi e la cooperativa "Undicesima ora".Ma qual è la prospettiva che "Pa.c.e." vuole promuovere? L’orizzonte è la terra che ci è madre, sorella, figlia. La terra ci è madre perché qui noi siamo nati, perché ci ha accolti e ci ha fatto crescere. La terra è sorella perché l’abitiamo, perché è il luogo della vita. La terra è figlia perché sarà di chi verrà dopo di noi, dei nostri figli.Per ristabilire un rapporto autentico e grato è necessario un cammino. Educare lo sguardo. Aprire gli occhi per scoprire la bellezza del creato e la bellezza che le mani dell’uomo sono in grado di generare e plasmare. Lasciarsi stupire. Gregorio di Nissa diceva: «I concetti creano idoli. Solo lo stupore conosce». Perché lo stupore nasca nei nostri cuori abbiamo bisogno di uno sguardo che si fermi, che non abbia fretta, che non sia un adocchiare girovago che coglie a malapena la superficie delle cose. Il nostro deve essere uno sguardo che torni a contemplare.Mettersi in cammino. Questa è la condizione essenziale. Non si conosce navigando sul web, ma mettendoci in strada, ripercorrendo i passi degli antichi pellegrini, scoprendo nuove strade e il gusto dell’incontro. I nomadi definiscono se stessi uomini liberi. Ecco non lasciamoci ingabbiare negli schemi del già visto, del già detto, della routine.Lasciamoci interrogare. Il luogo che viviamo ci pone delle domande, ci chiede quale sia il modo più giusto per abitarlo e per rendere feconda la terra. È stato detto che abitare un territorio è abitare la sua lingua. Il nostro Paese è ricco di lingue e dialetti, di storie e di culture, di tradizioni e di feste, di poesia. Scoprirlo è la più bella delle avventure.Essere custodi. Quando scopriamo una cosa bella, quando la conosciamo, come possiamo non sentirci responsabili? Noi, non un altro. Dobbiamo essere custodi della bellezza della nostra terra, una terra che troppo spesso, con il nostro stile di vita, abbiamo violentato, devastato, ucciso.La gratitudine. Saper rendere grazie per la terra che ci è stata data da abitare, con la sua bellezza e le sue zone grigie e a volte buie. E saper essere come san Francesco la cui gratitudine del Cantico delle Creature è stata contemplativa e operosa insieme, a partire dal restauro della chiesa di San Damiano. La grande bellezza è questione di occhi, di mani e soprattutto di cuore.