Se c’è un tempo che più di altri impone chiarezza e chiama a concretezza, è questo che stiamo vivendo. Tempo di grande crisi, di grandi attese, di necessari ricominciamenti. Tempo che dovrebbe sconsigliare (e non può più sopportare) parole vuote e “bandierine” piantate per affermare una qualche avventurosa avanzata o prevalenza delle visioni ideologiche sulla realtà naturale, morale ed esistenziale degli uomini e delle donne. Tempo, dunque, di scelte limpide e di limpide priorità. E i cattolici italiani, in questo tempo, hanno una parola chiara e un’indicazione concreta da dare sul riconoscimento- investimento che può, e finalmente deve, diventare lo strumento decisivo per riavviare il movimento in avanti della nostra comunità nazionale. Molti la nominano e la invocano come
ripresa. Noi sappiamo che è un
ricollegamento,una ritrovata relazione: tra le azioni e i valori (o di disvalori) che motivano quelle stesse azioni e i fatti e i misfatti che ne con conseguono, tra la nostra gente e le nostre istituzioni (tutte, nessuna esclusa, sul piano civile e politico e anche, a volte, su quello ecclesiale), tra persona e persona, tra individui e comunità, tra madri e padri, tra genitori e figli. E sappiamo bene che, qui e ora, nell’Italia del secondo decennio del XXI secolo, c’è un fulcro per questo sforzo esigente eppure dolce: “La Famiglia, speranza e futuro della società italiana”.
È il tema della 47ª Settimana sociale dei cattolici. È il principio, ed è la direzione, di uno sguardo aperto e franco su ciò che sperimentiamo e su ciò che è indispensabile tornare a capire e a fare. È la ragione, ed è il sorriso, che illumina il cammino da compiere e che lo avvia. Un’idea e una esperienza forte, che vale e su cui non ci sono mercanteggiamenti da imbastire:
famiglia. E due le parole chiave:
speranza e futuro.
Penso che per chiunque sia dura, e che maggiormente lo sarà nei prossimi giorni, tentare di capovolgere il senso di questa affermazione-proposta, per ridurla a una sorta di velleitaria rivendicazione di uno “ieri” da congelare. A Torino si tratta scopertamente del “domani”, un domani che non è un anti-ieri o un super-presente, ma una novità che abbiamo il dovere e la gioia di costruire con salda convinzione, a partire dalla più naturale e condivisibile delle basi di umanità: la relazione fondamentale, il grembo essenziale, l’insostituibile e solidale “luogo” di persone che la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna garantisce alla vita, al suo radicarsi e al suo svilupparsi. Per tutti c’è rispetto e cittadinanza in un mondo e in una società così basati, per nessuno – qualunque condizione personale ed esistenziale viva – c’è un destino appeso ad arbitri di laboratorio, di sopraffazione, di avidità, di convenienza, di solitario desiderio di potenza.
Per rendersene conto basta leggere i dati, gli argomenti e le riflessioni che – dando voce al dibattito preparatorio e delineando l’asse portante del confronto che si svilupperà a Torino dal 12 al 15 settembre prossimi – abbiamo raccolto e sviluppato in questo numero speciale di “Noi Genitori & Figli”. Credo che purtroppo qualcuno si adopererà ugualmente per una simile operazione o, comunque, per svalutare e persino ignorare – tre anni fa in occasione della Settimana Sociale di Reggio Calabria andò più o meno così – il contributo alla causa del “bene comune” dei cattolici più impegnati nella vita ecclesiale e nella testimonianza sociale. Vedremo, magari stavolta andrà molto diversamente. Forse c’è un eccesso di ottimismo in questo auspicio. Ma è un fatto che tanti (anche tra coloro che sono stati a lungo distratti, anche tra quelli che, in passato, hanno manifestato più infastiditi pregiudizi che consapevole amore per il nostro Paese e per il nostro popolo) stanno rendendosi conto che c’è da obiettare all’attuale deriva, e c’è da farlo non solo in coscienza, ricostruendo una sana cultura della differenza uomo-donna e della felice complementarietà familiare, ma anche sul piano della legge e di efficaci politiche sociali e fiscali. C’è da contrastare il programma di chi, in Italia (sinora più a fatica) e altrove (con crescente intensità in Europa e nelle Americhe), lavora a un “ordine nuovo” in cui tutto legislativamente è famiglia e nulla lo è più davvero, in cui l’uomo e la donna diventano solo un “prodotto” tra gli altri: esseri formalmente liberi (sempre più autonomi, autoreferenziali, autodeterminati), ma in realtà slegati e fatti soli, e dunque facilmente manipolabili, e dunque enormemente condizionabili, e dunque in molti modi schiavizzabili. Sin dal primissimo inizio dell’esistenza.
Da cristiani, non potremo mai rassegnarci a una tale perdita di dignità e di speranza, a una simile rimozione-oppressione dell’essenziale. Non potremo mai rinunciare a batterci con la tenace e disarmata forza evangelica degli ideali e della «vita buona», che di essi è specchio e radice, per rimettere al giusto posto la donna e l’uomo nelle nostre società e la famiglia nella considerazione di chi fa le leggi e ci governa. È la scelta di sempre che si rinnova, e la via tracciata cinquant’anni fa dal Concilio che ci sta davanti: non ci faremo cacciare in un cupa e triste trincea difensiva, stiamo e resteremo in campo aperto, a nessuna verità di comodo disposti a sacrificare, pronti al dialogo e alla positiva collaborazione con tutti.