domenica 4 ottobre 2009
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L’Africa in Sinodo a Roma è un evento da non perdere. Un tempo e uno spazio di confronto e discernimento per affrontare i no­di più controversi per la Chiesa e la società del continente. E come suc­cede solitamente alla vigilia di un appuntamento così importante, l’augurio che rivolgiamo col cuore e con la mente ai padri sinodali è che sappiano offrire delle indicazioni profetiche rispetto ai grandi te­mi in agenda: quelli della riconciliazione, della giustizia e della pace. La garanzia che ciò avvenga sta nel fatto che l’idea di convocare que­sto secondo Sinodo continentale (il primo risale all’aprile del 1994) è venuta direttamente dalla Chiesa africana. Manifestata attraverso il proprio episcopato a Giovanni Paolo II negli ultimi anni del suo pon­tificato, la proposta era stata accolta da papa Wojtyla il 13 novembre 2004. Benedetto XVI, poco dopo la sua elezione, confermò l’intenzio­ne del suo predecessore convocando il 22 giugno del 2005 la seconda assemblea sinodale per l’Africa. In realtà, il Sinodo è già cominciato da due anni e mezzo, da quando cioè le Chiese locali hanno iniziato a studiare i Lineamenta nella con­sapevolezza che le assise sinodali non s’improvvisano. Naturalmen­te, come ammesso addirittura da alcuni esponenti dell’episcopato, le difficoltà nella consultazione non sono mancate, considerando so­prattutto i punti critici delle società africane enumerati nell’ Instru­mentum Laboris a livello socio-politico (paragrafi 21-23), socio-eco­nomico (24-29) e socio-culturale (30-33) e più in generale nell’espe­rienza ecclesiale. D’altronde, nel corso del suo primo viaggio apostolico in Africa, lo scorso marzo, Benedetto XVI ha avuto buoni motivi per sottolineare i molti mali che ancora dilaniano il continente. «Africa, alzati e met­titi in cammino», ha esclamato in un appassionato appello rivolto al continente perché si lasci alle spalle le «distruzioni della guerra civi­le, i vortici di odio e vendette, lo sperpero degli sforzi di generazioni», incamminandosi verso la ricostruzione nel segno della riconciliazio­ne, della giustizia e della pace. Non parole retoriche in una terra scon­finata segnata negli ultimi anni da massacri e conflitti in Paesi come il Ruanda, il Sudan, la Somalia, la Repubblica democratica del Con­go, l’Uganda, la Sierra Leone, la Liberia, lo Zimbabwe. Il viaggio africano di papa Ratzinger, è bene rammentarlo, ha avuto lo scopo di impegnare la Chiesa cattolica in una missione di consolida­mento del tessuto sociale e della democrazia, mettendo in guardia i popoli africani da nuovi pericoli quali la droga, l’edonismo, l’irre­sponsabilità sessuale e l’aborto. Per non parlare dell’espandersi di set­te cristiane, che mescolano antiche credenze locali e fede in Cristo al­lontanando gruppi di fedeli dalla Chiesa in cui hanno ricevuto il bat­tesimo. Insomma, per Benedetto XVI l’Africa è, sì, il continente della speran­za, ma è soprattutto una terra assetata dei valori evangelici. Ecco che allora è chiaro, elencando i mali dell’Africa, come il Papa abbia volu­to, almeno indirettamente, rammentare ai padri sinodali di non es­sere oltremodo soddisfatti di come le cose stanno andando, e abbia inteso offrire precise indicazioni sul senso che le discussioni dovran­no avere nell’aula sinodale. Una cosa è certa: nell’inconscio colletti­vo occidentale, v’è sempre in agguato la tentazione di pensare che le storie africane non abbiano una trama riconoscibile, suscettibile di ragionamenti storici, di approfondimenti geopolitici o di teorizzazio­ni economico-sociali. Eppure, a pensarci bene, l’Africa che questo sinodo porta alla ribalta, nonostante tutto, è la metafora delle contraddizioni del nostro pove­ro mondo: povertà e ricchezza, fede e secolarismo, inferno e paradi­so. È tempo di ascoltarne le voci. E di capire che ogniqualvolta par­liamo di questo grande continente, se siamo sinceri, finiamo con il par­lare di noi stessi.
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