L’Africa in Sinodo a Roma è un evento da non perdere. Un tempo e uno spazio di confronto e discernimento per affrontare i nodi più controversi per la Chiesa e la società del continente. E come succede solitamente alla vigilia di un appuntamento così importante, l’augurio che rivolgiamo col cuore e con la mente ai padri sinodali è che sappiano offrire delle indicazioni profetiche rispetto ai grandi temi in agenda: quelli della riconciliazione, della giustizia e della pace. La garanzia che ciò avvenga sta nel fatto che l’idea di convocare questo secondo Sinodo continentale (il primo risale all’aprile del 1994) è venuta direttamente dalla Chiesa africana. Manifestata attraverso il proprio episcopato a Giovanni Paolo II negli ultimi anni del suo pontificato, la proposta era stata accolta da papa Wojtyla il 13 novembre 2004. Benedetto XVI, poco dopo la sua elezione, confermò l’intenzione del suo predecessore convocando il 22 giugno del 2005 la seconda assemblea sinodale per l’Africa. In realtà, il Sinodo è già cominciato da due anni e mezzo, da quando cioè le Chiese locali hanno iniziato a studiare i Lineamenta nella consapevolezza che le assise sinodali non s’improvvisano. Naturalmente, come ammesso addirittura da alcuni esponenti dell’episcopato, le difficoltà nella consultazione non sono mancate, considerando soprattutto i punti critici delle società africane enumerati nell’ Instrumentum Laboris a livello socio-politico (paragrafi 21-23), socio-economico (24-29) e socio-culturale (30-33) e più in generale nell’esperienza ecclesiale. D’altronde, nel corso del suo primo viaggio apostolico in Africa, lo scorso marzo, Benedetto XVI ha avuto buoni motivi per sottolineare i molti mali che ancora dilaniano il continente. «Africa, alzati e mettiti in cammino», ha esclamato in un appassionato appello rivolto al continente perché si lasci alle spalle le «distruzioni della guerra civile, i vortici di odio e vendette, lo sperpero degli sforzi di generazioni», incamminandosi verso la ricostruzione nel segno della riconciliazione, della giustizia e della pace. Non parole retoriche in una terra sconfinata segnata negli ultimi anni da massacri e conflitti in Paesi come il Ruanda, il Sudan, la Somalia, la Repubblica democratica del Congo, l’Uganda, la Sierra Leone, la Liberia, lo Zimbabwe. Il viaggio africano di papa Ratzinger, è bene rammentarlo, ha avuto lo scopo di impegnare la Chiesa cattolica in una missione di consolidamento del tessuto sociale e della democrazia, mettendo in guardia i popoli africani da nuovi pericoli quali la droga, l’edonismo, l’irresponsabilità sessuale e l’aborto. Per non parlare dell’espandersi di sette cristiane, che mescolano antiche credenze locali e fede in Cristo allontanando gruppi di fedeli dalla Chiesa in cui hanno ricevuto il battesimo. Insomma, per Benedetto XVI l’Africa è, sì, il continente della speranza, ma è soprattutto una terra assetata dei valori evangelici. Ecco che allora è chiaro, elencando i mali dell’Africa, come il Papa abbia voluto, almeno indirettamente, rammentare ai padri sinodali di non essere oltremodo soddisfatti di come le cose stanno andando, e abbia inteso offrire precise indicazioni sul senso che le discussioni dovranno avere nell’aula sinodale. Una cosa è certa: nell’inconscio collettivo occidentale, v’è sempre in agguato la tentazione di pensare che le storie africane non abbiano una trama riconoscibile, suscettibile di ragionamenti storici, di approfondimenti geopolitici o di teorizzazioni economico-sociali. Eppure, a pensarci bene, l’Africa che questo sinodo porta alla ribalta, nonostante tutto, è la metafora delle contraddizioni del nostro povero mondo: povertà e ricchezza, fede e secolarismo, inferno e paradiso. È tempo di ascoltarne le voci. E di capire che ogniqualvolta parliamo di questo grande continente, se siamo sinceri, finiamo con il parlare di noi stessi.