mercoledì 17 agosto 2011
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Non c’è dubbio che la manovra-bis varata venerdì scorso sia - come ha ammesso lo stesso premier Berlusconi - «migliorabile». Siamo al cospetto di un intervento che si presenta come il classico bicchiere mezzo vuoto-mezzo pieno. Su queste colonne è già stata lamentata l’assenza di due componenti fondamentali - l’equità fiscale (guardando anche al gravissimo fenomeno dell’evasione) e l’attenzione alla famiglia - ed è stata indicata l’inutile complicazione dell’abolizione selettiva e non totale (con logica devoluzione verso Regioni e Comuni delle competenze) delle Province. Ma qualche altra considerazione pare ora possibile.1) Non vi sono, alla fine, interventi sulle pensioni d’anzianità. Eppure questa manovra era - è - un’occasione preziosa per incidere sui meccanismi che ci hanno portato negli anni a un passo dal baratro. E, pur partendo dalla doverosa tutela necessaria per chi svolge lavori usuranti, non si può non riconoscere che gli esodi anticipati, in vigore dagli anni Settanta, sono un tabù da rimuovere, fra le cause maggiori di un debito pubblico che è esploso proprio a partire da quella decade. Si obietta - ed è vero - che la previdenza ha già dato tanto al risanamento dei conti. Ma è altresì vero che un intervento immediato e radicale su queste pensioni sancirebbe in modo efficace quel patto inter-generazionale di cui pure c’è bisogno, evitando di scaricare altri macigni sul futuro dei nostri figli e nipoti. Bossi, che è tra i frenatori più attivi, non dovrebbe dimenticare che, oggi, i veri «poveracci» non sono tanto i pensionati anticipati, quanto i giovani che rischiano di avere nel futuro pensioni assai basse e, per sovrappiù, inadeguati servizi pubblici.2)  Molto ha fatto discutere la tassa di solidarietà, che comporta un ulteriore prelievo a carico di quanti già dichiarano al Fisco somme medio-alte e, magari, vedono attorno a loro altri denunciare meno e avere un tenore di vita più elevato. Più equa sarebbe allora, anche sul piano del messaggio fiscale, una "patrimoniale" che vada a incidere sui beni: seconde e terze case, barche, auto di lusso. Ma quel che serve in materia fiscale è soprattutto una linea chiara e sgombra di ipocrisie: molte voci che ora si levano contro il contributo sono le stesse che solo poche settimane fa hanno inscenato una campagna contro quelle strutture fiscali (Agenzia delle Entrate ed Equitalia) che, al di là di alcuni eccessi (vedi ganasce e ipoteche, che peraltro già da tempo una politica più accorta e rispettosa dei cittadini avrebbe dovuto dosare bene), presentano il principale "difetto" di essere divenute efficienti in un Paese votato sin troppo al lassismo fiscale.3) I tagli ai costi della politica - sebbene si siano fatti più percepibili - devono fare ancora un salto di qualità. La tassa di solidarietà verrà pagata solo da metà (521 su 951) dei parlamentari, la cui principale fonte di entrate istituzionali resta costituita da diarie e rimborsi vari "esentasse". C’è poi una (ancora vaga) riduzione dell’indennità per quei parlamentari che hanno altri redditi: che problema c’è a fissare (anche per evitare stridenti conflitti d’interesse) una stringente incompatibilità fra il lavoro parlamentare e altre attività professionali? Sul piano del finanziamento a istituzioni e partiti il lavoro è agli inizi o ancora da avviare. Il ddl costituzionale di Calderoli per dimezzare i parlamentari è una delle possibili basi di partenza. 4) Ma la vera assenza di fondo di questa manovra è quella del ribaltamento di prospettiva dello Stato: oggi è ramificato, ma ovunque debole; si dovrebbe passare a uno "Stato leggero", snello e forte in pochi settori, dal welfare alla giustizia, valorizzando al massimo sussidiarietà verticale e orizzontale (cioè la collaborazione con enti locali e privato sociale). Un esempio: il governatore Zaia ha ricordato, in un’intervista a questo giornale, che il Veneto possiede ancora alberghi e tenute agricole. La direzione, allora, non può essere che una: vendere, dismettere e ritirarsi da ambiti impropri.5) Un’ultima considerazione: fra tutte le voci da tagliare (e fra quelle che verranno, a partire dai temuti 4 miliardi attesi nel 2012 dalla sforbiciata all’assistenza o alle agevolazioni fiscali) non è mai apparsa una che, pure, c’è e pesa sul bilancio di uno Stato costretto a erogare minori servizi essenziali: le missioni militari internazionali. Non è arrivato il momento di decidere un loro serio ridimensionamento, e persino uno stop, prima di tagliare prestazioni dirette a cittadini davvero in difficoltà?
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