giovedì 22 dicembre 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
Se è vero che la legge, per essere autorevole, deve seguire i mores di un popolo, è anche vero che il lento divenire del costume può essere dolcemente indirizzato verso approdi valorialmente sensati e diversi. Un approccio tanto più importante in tema di governo dell’immigrazione. Quest’opera di costruzione di argini robusti, che non pretendano di interrare il flusso, ma lo indirizzino con paziente intelligenza, spetta infatti alle classi dirigenti: alla politica che sono in grado di esprimere; alle visioni che sono capaci di proporre al Paese. A partire dagli anni 90 le nostre leggi e le nostre prassi avrebbero dovuto mandare un messaggio chiaro: vogliamo essere un Paese d’accoglienza; accogliere e allo stesso tempo garantire che l’immigrazione non provochi il degrado delle regole, dei servizi sociali della nostra comunità; e dunque non tollereremo che il flusso dei migranti sia inquinato da frutti avvelenati che intorbidirebbero tutto e darebbero fiato alle propagande più ingiuste e pericolose (emblematico il caso appena esploso del sito neonazista che ha stilato la 'lista nera' degli «amici degli immigrati» che sarebbero «nemici dell’Italia»). Chi viene in Italia per delinquere deve sapere che da noi il crimine non sarà più conveniente che nei Paesi di origine. Questa è la condizione preliminare per garantire la massima espansione dei diritti a chi cercherà nel nostro Paese una nuova opportunità di crescita, di lavoro, di speranze per sé e i propri figli. Una politica di generosa accoglienza, accompagnata da un convinto contrasto alla criminalità: sulla base di questi due pilastri, la storia e le tradizioni culturali e religiose del popolo italiano si sarebbero dovute incontrare per definire un grande patto civile, con lo stesso profondo respiro che sorresse il patto che nel 1946-47 seppero sancire i Padri costituenti. La nostra politica e il nostro sistema giudiziario non sono stati purtroppo capaci di lanciare questo messaggio. Abbiamo detto e fatto cose contraddittorie. Formulato proclami che si afflosciavano alla prova dei fatti. Minacciato sanzioni esagerate che avevano la credibilità di grida manzoniane. Abbiamo spaventato i deboli e i timorosi della legge e siamo stati deboli con i prevaricatori. Da un lato, la 'cultura della destra' ha avuto la capacità di comprendere le paure e il malcontento di soggetti deboli, vittime spesso misconosciute della criminalità straniera. Ma a queste paure, sventolate come un vessillo, sono state offerte ricette illusorie: che non hanno risolto il problema ma hanno negato diritti a chi invece li avrebbe meritati. Si pensi al reato di clandestinità: che mette in moto un meccanismo processuale del tutto privo di efficacia, ma che crudelmente schiaccia contro il muro dell’illegalità delinquenti e uomini umili in cerca di lavoro. D’altro canto, per anni, in passato, la dominante 'cultura di sinistra' ha regolarmente manifestato una sorta di senso di colpa nell’affrontare i problemi della sicurezza, come se l’avventurarsi su questi terreni fosse una concessione necessaria ma forzata: bisognava accettare un qualche compromesso, per evitare che tra i ceti popolari dilagasse il populismo di destra. L’atteggiamento culturale, anche da questa prospettiva, andava invece ribaltato: la sicurezza non doveva essere, per la sinistra, un tema imposto da altri ma una propria scelta di priorità: il fondamento del solidarismo. Così, invece, l’immigrazione è diventata terreno di scontri ideologici. E si è persa l’occasione di costruire, intorno a un tema così importante, una condivisione degli orizzonti a cui tendere. Ma è tempo di tentare di definire una cornice comune entro cui politiche di destra e di sinistra possano confrontarsi e proporre soluzioni diverse. Partendo dalla consapevolezza che c’è un solo modo per contrastare l’immigrazione irregolare: favorire l’immigrazione regolare; darle regole precise, procedure snelle. Prosciugare la palude della clandestinità: sottraendovi tutti quegli stranieri che hanno un lavoro, che vorrebbero essere regolari, ma non ci riescono per la farraginosità delle nostre leggi. Come in una lunga fila di bottoni di una tonaca, se si infila il primo bottone nella seconda asola, ci si trova alla fine con l’intero percorso sfalsato. E non ci sono possibili aggiustamenti. Bisogna ripartire dall’inizio.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: