Si racconta che Krusciov, quando nel 1954 decise di regalare la Crimea alla Repubblica sovietica d’Ucraina, fosse sotto l’effetto di una colossale sbornia. Sessant’anni più tardi la penisola che s’affaccia sul Mar Nero sceglie di tornare fra le braccia della Grande Madre Russia al culmine di un’ubriacatura nazionalista che ha trovato sfogo in un referendum-farsa, organizzato frettolosamente con urne trasparenti e schede aperte, e sorvegliato da migliaia di cosacchi e miliziani senza mostrine inviati da Mosca. Ma dietro a tutto questo non si fa fatica a scorgere la mente fredda e cinica di Putin che per punire una nazione 'passata al nemico' si prende una sua provincia. Siamo di fronte ad un nuovo 'Anschluss', un’annessione arrogante compiuta dal leader del Cremlino la cui visione imperiale è perfettamente in linea con quella sovietica e ancor prima zarista. Purtroppo anche nell’opinione pubblica occidentale si sta diffondendo uno sconcertante giustificazionismo che si nutre di menzogne e mistificazioni, come ad esempio l’equivalenza tra Crimea e Kosovo. Se la regione a maggioranza albanese della Serbia ha ottenuto l’indipendenza con l’aiuto dei bombardieri della Nato, sostengono i neo-putiniani di casa nostra, perché mai la Crimea non può fare lo stesso con l’intervento degli Spetnatz russi? Qualche differenza c’è. Intanto il Kosovo non è entrato a far parte di una Grande Albania, mentre la Crimea intende aderire alla Federazione Russa. Inoltre, la secessione del Kosovo è apparsa come l’unica strada per sfuggire alle discriminazioni e alle persecuzioni del regime di Milosevic nei riguardi della popolazione d’etnia albanese. Non risulta che in Crimea sia avvenuto qualcosa di simile contro la popolazione russa da parte del nuovo governo di Kiev. Al contrario, sono i cittadini ucraini e tatari, il 40% degli abitanti, ad essere oggetto di minacce. Beninteso la Russia ha tanti motivi, storici e culturali, per rivendicare la Crimea. Lo fece all’indomani della caduta dell’Urss, ma vi rinunciò con il Trattato del 1994 riconoscendo l’integrità territoriale dell’Ucraina la quale a sua volta accettò di trasferire i propri arsenali nucleari sotto la sovranità di Mosca. Dunque, vi sono diversi motivi per affermare che l’annessione della Crimea alla Russia costituisca una chiara violazione della legalità internazionale. Paradossalmente, Kiev potrebbe chiedere di tornare in possesso dell’arma atomica se quel Trattato diventa carta straccia. È noto che Putin ha sempre considerato la fine dell’Unione Sovietica «la più grande catastrofe geo-politica del Novecento». E ancora non è riuscito a farsene una ragione se è vero che, in una telefonata recente con il rappresentante dei tatari in Crimea, si è lasciato scappare che «in fondo anche la secessione dell’Ucraina dall’Urss non è del tutto legale». Del resto, così si espresse il leader russo nel 2008 allorché il presidente americano Bush spingeva per includere nella Nato alcune Repubbliche ex sovietiche: «Ma George, cerca di capire: l’Ucraina non è neppure uno Stato!». Se l’Ucraina «non è uno Stato», nulla impedisce che venga spogliata di altre regioni dopo la Crimea. Da Donetsk, Kharkiv e da altre città russofone dell’Ucraina orientale già si alza 'il grido di dolore' cui non potrà restare insensibile il nuovo zar di tutte le Russie, anche quella tenuta in ostaggio dai «fascisti che comandano a Kiev». L’Ucraina «non è uno Stato» e, da quando ha vinto la rivoluzione di Maidan, «non ha neppure un governo legittimo». Così la pensa Putin. «È fuori dalla realtà», dice la Merkel. «Si sta isolando dal mondo», ribadisce Obama. Per la prima volta dalla fine della guerra fredda Stati Uniti e Unione Europea varano dure sanzioni nei riguardi di politici e alti dirigenti vicini al leader del Cremlino. Un atto dovuto, la cui forza di dissuasione è però molto limitata. Per evitare la catastrofe occorre che Mosca accetti di aprire un dialogo diretto con Kiev il cui governo finora si è comportato in modo molto responsabile. Altrimenti, a furia di evocare il nazismo al potere in Ucraina, Putin si troverà di fronte a un’ondata nazionalista uguale e contraria a quella che ha scatenato in Russia.