Svolgere il compito della sentinella, che vigila al confine sia sui bisogni dei territori che sulle ingiustizie dell’era globale. Ed essere segno di speranza. Le parole pronunciate da Papa Benedetto nell’udienza tenuta ieri alla Caritas italiana sono in straordinaria continuità con quello che quarant’anni fa pensava Paolo VI. Il quale chiese alla neonata Caritas italiana di coniugare carità evangelica e spirito del Concilio educando con i fatti la comunità a prendersi sulle spalle il fardello delle povertà, senza deleghe di comodo.
Quello che la Caritas nazionale ha dato al Paese in termini di coesione sociale lo ha ricordato nell’omelia che ha preceduto l’udienza il cardinale Angelo Bagnasco: sia di fronte a «fenomeni naturali imperiosi» – come terremoti o alluvioni – sia a «fenomeni sociali improvvisi» – l’immigrazione, l’impoverimento – «la Caritas è sempre pronta a rigenerare fiducia e ancor prima ad offrire una prossimità mai scontata, in grado di restituire dignità e fiducia». Scorrendo il film di questi 40 anni, l’organismo pastorale della Chiesa ha centrato il mandato di crescere nelle diocesi e nelle parrocchie. Lo ha fatto educando all’impegno e alla gratuità diverse generazioni di giovani. Ad esempio con i gemellaggi tra diocesi che hanno gettato ponti indistruttibili tra comunità cristiane e civili lontane, come nel Friuli e nell’Irpinia devastati.
Un metodo la cui validità e stata ribadita nelle ore drammatiche del sisma abruzzese. O attraverso le decine di migliaia di obiettori di coscienza che hanno svolto servizio civile con i deboli scoprendo mondi nascosti e maturando in quei mesi vocazioni religiose, professionali, politiche. Anche grazie a loro, come al numero incalcolabile di volontari e sacerdoti, la Caritas in Italia, per usare un’altra frase della presidente della Cei, è diventata «un riferimento significativo anche nel quotidiano».
Oggi questo organismo ha responsabilità in aumento, come confermato da diversi studiosi al convegno delle Caritas diocesane di Fiuggi. Alla sua porta bussano infatti non solo i poveri «storici», ma per la prima volta persone che non hanno mai conosciuto privazioni e che, perduto il lavoro, rischiano di vedere collassata dalla precarietà la famiglia, le relazioni e la salute mentale. Accanto a loro vi sono i migranti che arrivano da tutto il mondo per trovare accoglienza e un futuro in una società che spesso tende a chiudersi.
La povertà, ha richiamato ieri il Papa, è sempre più complessa e si muove a cerchi concentrici: per capire l’indigenza del nostro vicino di casa dobbiamo sapere cosa succede magari in Africa e comprendere i meccanismi a volte perversi del sistema economico e finanziario. Chi oggi si impegna perché non vi siano donne, bambini e uomini esclusi in Italia e nel mondo ha quindi un compito supplementare: contrastare non solo il crescente disagio, l’indebolimento delle famiglie, l’incertezza della condizione giovanile, ma il rischio – per dirla con Benedetto XVI – «del calo di speranza». Questa crisi durissima è infatti anche antropologica e sta mettendo in discussione il sistema occidentale costruito sull’individualismo relativista e sui disvalori del consumismo sfrenato.
Allora la Caritas negli anni a venire – ha sottolineato il Pontefice – dovrà unire il «coraggio della fraternità» alla forza di agire nel «solco sicuro del Vangelo e della dottrina sociale». Dovrà contribuire alla sfida educativa che la Chiesa italiana ha indicato per questo decennio e per vincere la quale occorrono testimoni credibili di vite buone, umili e concrete, capaci di costruire una nuova etica. La Caritas italiana ha confermato ieri al Papa che resta sul confine, strumento della Chiesa per vigilare e aiutare a costruire speranza.