Da oltre sette mesi ormai il Sud Sudan è in guerra con se stesso: una lotta di potere tra i membri dell’élite al governo ha fatto precipitare il Paese in una catastrofe umanitaria di proporzioni allarmanti. Appena tre anni dopo aver celebrato l’indipendenza della propria nazione, i sud sudanesi vedono così svanire la pace duramente conquistata. Coloro che hanno votato per la pace e la sicurezza, per il diritto di fare parte della comunità dei popoli sovrani sono ancora una volta vittime di un miserabile fallimento della classe di governo.
Le occasioni di porre fine a questa lotta insensata sono svanite una dopo l’altra. Nonostante gli intensi sforzi di mediazione dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo nell’Africa orientale e delle Nazioni Unite, la cessazione delle ostilità – firmata a gennaio – e l’impegno per il processo di pace – rinnovato a maggio – non sono stati rispettati. Nel frattempo la lotta continua, le scadenze passano senza che nulla accada, la sofferenza aumenta. Oggi un’epidemia di colera minaccia migliaia di persone, oltre 1,5 milioni di cittadini sono stati costretti ad abbandonare le loro case e l’ombra della carestia si allunga di giorno in giorno. I nostri operatori umanitari riferiscono che i bambini arrivano nei campi con i capelli ormai rossi, segnale che la malnutrizione ha raggiunto livelli letali. Più della metà della popolazione – 7,3 milioni di persone – vive in condizione di fame e 50.000 bambini rischiano di morire quest’anno se non riceveranno aiuti di emergenza. Il Sud Sudan vive oggi la peggiore crisi di sicurezza alimentare al mondo, ma nemmeno il rischio di una vastissima carestia ha convinto i leader del Paese a ridare la pace al popolo che hanno la responsabilità di dirigere e salvaguardare.
Entrambe le parti del conflitto hanno costantemente bloccato la circolazione dei mezzi di assistenza umanitaria, impedendo agli operatori di raggiungere i gruppi più vulnerabili percorrendo strade o vie fluviali. In queste circostanze il lancio di cibo, acqua e medicine dagli aerei è l’unico modo per assicurare i rifornimenti essenziali, ma non può essere una soluzione a lungo termine e limita moltissimo il numero di persone che possiamo raggiungere. La comunità internazionale sta reagendo con fermezza a questa crisi, ma le sfide sono impressionanti.
Quasi la metà degli abitati del Sud Sudan ha bisogno di aiuti umanitari d’emergenza. Avendo perduto la stagione della semina e a causa delle piogge in corso, oltre la metà del Paese è inaccessibile per via terrestre o potenzialmente isolata dalle fonti di approvvigionamento di cibo, acqua e cure mediche. In aprile abbiamo lanciato un invito ad agire per il Sud Sudan sollecitando un’azione immediata su tre fronti essenziali: interrompere immediatamente i combattimenti, aumentare i fondi umanitari per aiutare la popolazione a far fronte alla crisi e garantire il rispetto del diritto umanitario internazionale.
A maggio abbiamo incontrato ad Oslo i rappresentanti del governo e dell’opposizione del Sud Sudan. Abbiamo dimostrato la nostra preoccupazione e il nostro sostegno con azioni concrete, impegnando oltre 610 milioni di dollari in nuovi finanziamenti per il Sud Sudan e per tutta la regione. Si tratta di un sostegno enorme, considerato che a causa di altre emergenze – dall’Iraq alla Siria alla Repubblica centrafricana – il numero di persone bisognose di aiuto nel mondo è esorbitante.
Un reale cessate il fuoco seguito dalla riconciliazione è l’unica strada per garantire un futuro migliore e sicuro al popolo del Sud Sudan. È giunto il momento che sia il governo sia l’opposizione diano prova di vera leadership, raggiungano un compromesso e inizino a governare il Paese. I leader hanno l’obbligo di proteggere il loro popolo e fare in modo che il Paese superi la catastrofe e la carestia. Li condanniamo fermamente per non averlo fatto finora. Basta combattimenti. Basta morti. Basta rinvii. È ora di governare il Paese.
*amministratore, USAID **commissaria europea per la Cooperazione internazionale, gli aiuti umanitari e la risposta alle crisi ***coordinatrice dell’Onu per le emergenze ****ministro degli Affari Esteri della Norvegia