Ci sono tante stelle spente che desiderano essere accese. Eppure, continueranno ad essere spente, se nessuno desidera davvero che tornino a far luce. La mia storia e quella dei miei amici in fondo è stata questa. Eravamo molto giovani, con pochissimi mezzi, ma grandi ideali. Anche noi volevamo accendere una stella e la scoprimmo nel vecchio arsenale militare di Torino. La fabbrica delle armi del Risorgimento e delle guerre mondiali era un rudere: servivano miliardi di lire per rimetterla a posto. Noi non avevamo una lira, ma avevamo un sogno. Oggi, l’Arsenale della Pace esiste, dà speranza, con la sua storia è diventato un punto di riferimento per migliaia di giovani, può raccontare il cambiamento di mille e mille vite, dare voce a mille e mille gesti di fraternità, in Brasile, in Giordania, in 140 Paesi del mondo...Entrammo il 2 agosto 1983 e il nostro sogno attirò un fiume di Provvidenza incredibile: migliaia e migliaia di giovani e adulti pronti a donare il loro tempo, il loro denaro, la loro professionalità. È stato un cammino affascinante, iniziato negli anni 70 dopo l’incontro con un uomo che parlava di pace come nessun altro: Giorgio La Pira, sindaco di Firenze. Diceva che ebrei, musulmani e cristiani erano figli di Abramo, figli di Dio. Per questo, nessuno in nome della religione può permettersi di chiamare qualcuno "infedele", di calpestare la libertà, di non rispettare l’altro.
La Pira parlava poi del profeta Isaia, del suo sogno di tramutare le armi in strumenti di lavoro. Quella profezia mi cambiò la vita. Andai a conoscerlo e la sua amicizia accompagnò i miei primi passi.
Fu però papa Paolo VI a dare ali a questo sogno. Nel 1976, sentii l’esigenza di parlare con lui per trasmettergli il mio amore per la Chiesa. Andai a Roma con una lettera del cardinale Michele Pellegrino e nessuno si scandalizzò che un ragazzo sconosciuto in camiciotto e blue jeans potesse essere ricevuto dal Papa. Non sempre la burocrazia ferma i desideri dei giovani, e così avvenne. Parlai a cuore aperto di una Chiesa lontana dai giovani, lontana dalla gente: avevo il cuore lacerato, ma alcun giudizio, solo la richiesta e il sogno di un mondo e di una Chiesa in cui il potere è servizio, l’amore è dare da mangiare agli affamati, lo straniero è una persona da amare. Cose da Vangelo, cose normali, possibili per un cristiano. Il Papa non si scandalizzò. Ricordo il suo sguardo affettuoso, presente, che si tramutò in un abbraccio e in un mandato: «Spero da Torino, terra di santi, per una rivoluzione d’amore».
Quelle parole mi entrarono dentro e la stella dell’Arsenale cominciò a diffondere in quel momento il suo primo bagliore. Passarono ancora alcuni anni, plasmati dall’incontro con tanti uomini e donne di Dio, credenti e non credenti. Il 2 agosto del 1983 entrai con la Bibbia, un crocifisso che veniva dal carcere, due libri di una mia amica non credente. Non entravo da solo, ma come Chiesa, come umanità, a nome della sofferenza, ma soprattutto della speranza del mondo. Senza alcuna presunzione. Oggi come ieri, continuiamo a pregare, a fare silenzio, a farci interpellare da chi bussa alla porta. Solo così l’impossibile diventa possibile, solo così qualche stella spenta, se Dio lo vuole, potrà riaccendersi.