martedì 11 giugno 2013
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Sembrano decisamente lontani i tempi in cui George W. Bush nominava come rappresentante permanente presso le Nazioni Unite John Bolton, il più fervente seguace della dottrina dell’assoluta inutilità dell’Onu che abbia mai ricoperto una simile carica. Samantha Power, il nuovo ambasciatore Usa al Palazzo di Vetro ne è quasi l’antitesi.Prima di arrivare all’Onu, Bolton aveva servito nell’Amministrazione come sottosegretario al dipartimento di Stato con la delega alla «lotta contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa», vera bussola della politica di sicurezza di George W. Bush. Power lascia l’incarico di consigliere del presidente per i diritti umani e la politica internazionale. Se il primo era un tipico falco della destra repubblicana, la seconda si è fatta le ossa denunciando il genocidio in Bosnia e stigmatizzando le responsabilità americane nel non aver agito tempestivamente per impedirlo. Da allora in poi, non c’è stata crisi umanitaria che non l’abbia vista invocare a gran voce un maggior interventismo della comunità internazionale: dal Ruanda al Kosovo al Sud Sudan. Proprio mentre la guerra civile siriana sembra conoscere una nuova recrudescenza (forse un punto di svolta?) e mentre si diffondono nuovamente voci insistenti del possibile uso di gas sarin da parte delle truppe di Bashar Assad, a rappresentare l’America all’Onu arriva una fiera sostenitrice della «responsabilità di proteggere», ovvero del dovere della comunità internazionale di intervenire per difendere le popolazioni oggetto di genocidio o di massacri indiscriminati anche quando questi siano messi in atto dai propri legittimi governi. Una circostanza da non sottovalutare, tanto più considerando che l’amministrazione Obama, e in realtà lo stesso presidente, è da più parti accusata, in patria e all’estero, di non aver esercitato una leadership adeguata in tutta la lunga e sanguinosa vicenda siriana. In particolare, si moltiplicano le indiscrezioni di una tensione crescente tra il presidente e il suo nuovo segretario di Stato, John Kerry, proprio intorno alla politica da tenere in Medio Oriente. Kerry sarebbe infatti tra coloro che non hanno apprezzato la riluttanza mostrata dalla casa Bianca sulla crisi siriana e nei confronti del rilancio del processo di pace israelo-palestinese.Fino ad ora la sua posizione appariva piuttosto isolata in seno all’amministrazione, ma l’arrivo alla Casa Bianca di Susan Rice nella veste di consigliere per la sicurezza nazionale potrebbe cambiare la situazione. Significativamente, Rice era la precedente rappresentante permanente degli Stati Uniti al Palazzo di Vetro, e nel periodo in cui ha ricoperto l’incarico si è sempre mostrata un’infaticabile paladina della necessità che la comunità internazionale facesse qualcosa di più concreto per fermare il macello siriano (dove i morti hanno ormai superato il numero di 100.000). È presto per dire se questo avvicendamento di poltrone tutto al femminile e nel segno di un possibile cambio dalla Realpolitik a un maggiore interventismo umanitario indichi un cambiamento di rotta dell’amministrazione Obama, o sia solo un brillante escamotage cosmetico, per darsi l’aria di tenere in maggior conto le dimensioni etiche della politica internazionale senza davvero farsene condizionare. D’altra parte, non bisognerebbe mai dimenticare che la politica estera Usa è sempre stata composta di un mix di elementi idealistici e di più concrete preoccupazioni e che il loro bilanciamento non deve essere cercato solo nel susseguirsi delle presidenze, ma anche – e forse soprattutto – all’interno delle singole presidenze.
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