giovedì 22 luglio 2010
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Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha reso noto il rapporto sulla non autosufficienza, una condizione che riguarda principalmente gli anziani. I dati e le proposte contenuti sono di un certo interesse. L’inesorabile invecchiamento della popolazione italiana spinge a risposte innovative. Il rapporto ministeriale cerca di farsene carico. Tuttavia c’è qualcosa che, in un troppo affrettato dibattito nazionale sulla non autosufficienza, e più in generale sulla "questione anziana", resta non considerato. Qualcosa che riguarda i numeri, le proiezioni della disabilità, i costi, l’offerta dei servizi sociali e sanitari. Più in generale attiene al livello della nostra società. Si afferma, in sostanza, che l’invecchiamento della popolazione, a causa della non autosufficienza, andrà a incidere in modo determinante sulle spese sanitarie. Gli anziani non autosufficienti sarebbero destinati a costituire un peso (economico e non solo) per la società.Ma questo ragionamento, oltre a non essere giusto, non è del tutto vero. Nel 2051, secondo le proiezioni Istat, le persone dai 65 anni in su saranno in Italia il 34,5% della popolazione. Oggi sono 12 milioni e duecentomila, nel 2050 saranno più di 20 milioni. La percentuale delle persone non autosufficienti avrà lo stesso tasso di crescita? Certamente no. Sta qui la prima contraddizione della ingannevole equazione "più anziani - più disabilità - più costi". Gli studi hanno mostrato che, con i progressi della medicina, all’aumento degli anni di vita non corrisponde necessariamente una perdita di autosufficienza, come poteva essere in passato. Ciò significa che le spese non sono destinate a duplicarsi in modo automatico. Per gli anziani il problema più che le risorse (quelle sono sempre scarse) è il livello di organizzazione sociale e dei servizi. Qui l’Italia è in ritardo. Si dovrebbe parlare non di ridotte risorse economiche, ma di mancanza di idee e di scarsezza di modelli innovativi di intervento nei confronti di una popolazione che si modifica. Servono idee nuove per rispondere a problemi nuovi. Non si possono riadattare le soluzioni di ieri.Un esempio internazionale: la Danimarca trent’anni fa, con una politica lungimirante e coraggiosa, ha smesso di costruire nuovi istituti per anziani e ha spuntato sui servizi a domicilio e su modalità di intervento attive. Non è migliorata soltanto la qualità della vita degli anziani – che restano a casa loro e sono seguiti – ci si è avvicinati anche alla "impossibile" quadratura del cerchio: offrire buoni servizi con una riduzione, in venti anni, di ben il 10% della spesa destinata alla cure a lungo termine. Curare gli anziani a casa conviene a tutti.Un esempio italiano: la Comunità di Sant’Egidio ha realizzato a Roma un servizio che è accanto agli anziani tutto l’anno, specialmente nei momenti critici, come in questa estate rovente. L’intera popolazione ultra75enne di due quartieri del centro storico viene seguita, con un sistema di visite domiciliari, telefonate e interventi. Il Programma si chiama, emblematicamente, "Viva gli Anziani!". In sei anni ha dimostrato che si possono aiutare gli anziani a stare molto meglio nella loro casa e nel loro quartiere. I costi sono molto contenuti: 50 centesimi al giorno ad anziano. I risultati sono notevoli: si è registrato un risparmio considerevole sui ricoveri in ospedale, in Rsa, e persino sulle richieste di assistenza domiciliare. Non sarebbe il caso di diffondere in modo capillare servizi di questo tipo? Si risparmia oggi e non si ipoteca il futuro. Con le risorse già disponibili bisogna fare scelte legate alla cura a casa. Anche per dire con convinzione che gli anziani sono una risorsa e non un costo. E per guardare con speranza al futuro.
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