Dalla mattina presto, quando leggiamo i giornali, alla sera tardi, quando guardiamo l’ultimo tg, più volte al giorno entra nel nostro cervello il fascino maligno della guerra. Gli inviati della stampa e delle tv lo catturano e ce lo trasmettono. E noi lo guardiamo incantati. Perché un fascino della guerra esiste, a prescindere dal fatto che la condanniamo o no. La guerra è un luogo e un tempo in cui viene esercitato il potere di vita e di morte, si mostrano alle fotocamere e alle telecamere del mondo le meravigliose invenzioni-costruzioni della tecnica aeronautica e navale, si dispiega davanti a noi lo spettacolo della paura e del trionfo. Perciò la guerra ci rende peggiori, tutti. Perché ci abitua al male. Mi correggo: ci educa al male, dispiegandolo davanti a noi come un meraviglioso spettacolo estetico.La guerra del Golfo fu un trionfo dei missili. Partivano dalle portaerei lasciandosi dietro una scia di fuoco, che non era rossa ma verde-gialla. Li vediamo anche qui, nella guerra di Libia, ma stavolta siamo preparati. Il fascino delle portaerei americane (non della nostra, piccola al confronto) sta nella vastità. Per far notare al telespettatore questa attrattiva, le telecamere riprendono le portaerei dal basso, salendo dal mare: quando giungono in linea con le piste di decollo, la plancia delle portaerei ci si spalanca davanti come una piazza. Comprendiamo quell’ammiraglio che diceva: «Con le mie navi oscuro l’orizzonte». Stavolta non vediamo mai i missili arrivare. In Iraq li vedevamo: cioè, vedevamo i palazzi sussultare, segno che un missile era arrivato. Stavolta è più emozionante la visione degli aerei: ci sono Tornado, Rafale e Mirage (francesi), F11, 14, 15 e 16, ed Eurofighter. Impariamo a distinguerli dalla sagoma. Il Tornado è il più tozzo; il più snello è l’Eurofighter, in sigla Efa. Ha due alette supplementari in punta, che noi profani non sappiamo a cosa servano, ma se vai sui siti tecnici trovi una spiegazione interminabile.Un F15 americano è caduto, non sappiamo se per avaria o perché tirato giù dalla contraerea. I bambini libici ballano sulla carlinga aggrovigliata, sui motori sbrindellati: i vestiti dei bambini e i motori dell’aereo sono due opposti, arcaicità e modernità.Mentre scrivo questo articolo, guardo sul monitor la foto di 6 soldati libici che camminano stagliandosi contro le fiamme di un incendio. Come i marines nel finale di
Full Metal Jacket. Che siano libici lo si capisce dal caricatore arcuato del kalashnikov. Lì dev’esser caduto un missile, c’è ancora il rogo. Par di sentire lo scoppio delle raffiche. I libici sparano assurdamente, in aria, per gioia. Un soldato della Nato che sprecasse i colpi così finirebbe agli arresti. Arrivano le prime foto del dopo bombardamento: macerie, tronconi di caserme, spezzoni di bunker, tutto avvolto nel fumo, par di sentire l’odore delle esplosioni. «Mi piace l’odore del fuoco – dice Robert Duvall in
Apocalypse Now – sa di vittoria».Il ruolo superumano nella guerra è quello degli strateghi, curvi sulle carte geografiche. I media regalano a noi questo ruolo. Ogni mattina i giornali ci dispiegano sotto gli occhi la carta delle operazioni: vediamo le navi, USS Florida, USS Stout, USS Barry, USS Scranton, la francese Charles De Gaulle. La più vicina alla costa libica è l’USS Mount Whitney, che infatti è l’ammiraglia. In alto, nel cielo, è disegnata la sagoma di un aereo, uno per tutti, è un Efa. Prima di voltar pagina, ci fermiamo per controllare se la disposizione delle forze è tatticamente corretta, o se ci convenga spostare qualcosa. Il fascino maligno della guerra droga sui lettori-spettatori, che si credono generali e ammiragli. Nel delirio non guardano la guerra, la combattono. E questo è l’estremo e più dannoso risultato della fascinazione maligna della guerra.