sabato 31 dicembre 2011
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In questi giorni in cui ci si ritrova insieme, in famiglia, fra vecchie facce care e giovani facce di figli e di nipoti. In questi giorni di strade illuminate, e poi di brindisi, nell’attesa di un anno nuovo in cui comunque ognuno umanamente spera, spesso mi viene da chiedermi come fa, come regge il clima di letizia quasi obbligatoria, chi ha addosso un lutto cocente. Come fronteggia la festosità più esteriore del Natale chi ha perduto un figlio, o un vecchio che per la prima volta in questo giorno si ritrova solo, scomparsa la compagna di una vita? Spio le facce dei passanti per strada, dei viaggiatori in metrò; ce ne sono alcune che sembrano così lontane dalla festa, così irrimediabilmente sole. Come se proprio il Natale, la festa del mondo che ricomincia in un bambino, urtasse più di ogni altro giorno con la durezza della morte, con lo strappo lasciato in chi vive da chi se ne è andato. Certo, proprio quella nascita prelude alla Resurrezione; ma quanto integra è oggi questa memoria e certezza nelle nostre case? E anche per chi ha fede, proprio il ritrovarsi tutti assieme può fare più straziante il posto vuoto, a tavola, di un figlio, di un padre che manca. Per questo, credo, per quelle facce che ogni tanto mi sfiorano per strada e mi sembrano così lontane dalla festa, mi è rimasto in mente un passo di san Basilio Magno citato da Benedetto XVI, nell’ultima udienza prima di Natale. Ecco dunque cos’è davvero Natale secondo la «Omelia sulla nascita di Cristo» di san Basilio: «Dio assume la carne proprio per distruggere la morte in essa nascosta. Come gli antidoti di un veleno una volta ingeriti ne annullano gli effetti, e come le tenebre di una casa si dissolvono alla luce del sole, così la morte che dominava sull’umana natura fu distrutta dalla presenza di Dio. E come il ghiaccio rimane solido nell’acqua finché dura la notte e regnano le tenebre, ma subito si scioglie al calore del sole, così la morte che aveva regnato fino alla venuta di Cristo, appena apparve la grazia di Dio Salvatore e sorse il sole di giustizia, "fu ingoiata dalla vittoria" (1 Corinzi 15,54), non potendo coesistere con la Vita». Certo, dirà qualcuno, sono cose che noi cristiani ben sappiamo. Davvero tutti? Non ce ne siamo un po’, e non in pochi, dimenticate nella assuefazione a un Natale che torna ogni anno, cara abitudine, lieta ricorrenza, ma come nella sua radice originaria appannato? E quanti poi, fra chi cattolico lo è solo di nome, sanno ancora la ragione per cui Cristo scelse di nascere fra gli uomini? «Dio assume la carne per distruggere la morte in essa nascosta. Come gli antidoti di un veleno una volta ingeriti ne annullano gli effetti..». Se è nella Resurrezione che la morte è stata vinta, quel nascere ne è il primo annuncio: è venuto al mondo, e cresce, un bambino che sconfiggerà la morte. Come le tenebre si sciolgono, annientate dalla luce del sole, dice Basilio, così la morte da quella notte a Betlemme non è più la stessa, non la stessa di prima. Come il ghiaccio fuori dalle nostre case in queste notti si consolida e stringe la sua morsa, ma cede al mattino, sotto ai primi raggi tiepidi del sole: la stessa cosa accadde quel giorno, a Betlemme. Se in una dimenticanza, o nella abitudine e nel rumore esteriori, questi giorni possono apparire intollerabili a chi dalla morte è stato così mutilato da sentirsi egli stesso come morto, in realtà, ritrovando la memoria cristiana, il Natale viene prima di tutto per queste persone. E’ il germe della promessa, e speranza già capace di operare: proprio in quel bambino, chi è morto non è morto per sempre. Come il seme sotto alla terra dura di gelo, nelle lunghe notti del solstizio d’inverno: non sembra forse, così sepolto, morto? Eppure, quanto è vivo. E queste righe di un vescovo e dottore della Chiesa di diciassette secoli fa, bisognerebbe farle leggere a chi è orfano di un figlio, di un marito. Sì, certo, le sappiamo queste cose; ma ricordarcele è uno scoprirle di nuovo, e ritrovare, con la memoria, speranza – la sola che non tradisce.
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