La delicata e spinosa questione delle ingiustizie sociali, della squilibrata distribuzione della ricchezza, non è una novità storica. Tuttavia colpisce, e allarma, il fatto che nonostante l’evoluzione dell’economia, l’imposizione pressoché generalizzata d’imposte progressive sui redditi, talune delle quali di natura straordinaria ( in Francia, sui patrimoni mobiliari- immobiliari superiori agli 800mila euro), il solco fra « ricchi e poveri » fatichi a venire colmato. Quantomeno drasticamente ridotto. Questa, per il nostro Paese, l’istintiva reazione al rapporto della Banca d’Italia ( focalizzato sul 2008), sull’impatto della crisi per le famiglie italiane. Nell’arco di un anno, la ricchezza degli italiani è diminuita dell’ 1,9 per cento, con una perdita secca di 161 miliardi di euro. Contrazione in larga misura da ascrivere ai ribassi della Borsa e dei variegati investimenti finanziari; il valore di case e terreni sarebbe rimasto invece sostanzialmente stabile ( qui, gli scossoni sono arrivati nel 2009). Attenzione, però: poco meno della metà della ricchezza è detenuto dal 10 per cento della popolazione. Non bastasse: al limite estremo, quello della povertà, troviamo una famiglia su dieci. Il che rende il divario stridente. Inaccettabile se pensiamo all’inadeguatezza della fotografia statistica a confronto della realtà. Nulla o quasi infatti sappiamo dei patrimoni sommersi, spesso « esterovestiti» , che lo scudo fiscale sta cercando di fare emergere; delle attività criminose con i loro miliardari giri di affari; di quell’economia « in nero » che rappresenta fra un quarto e un terzo del prodotto nazionale ufficiale. Comunque, già le cifre della Banca d’Italia possono ( e devono) far riflettere. Sul tema « ricchi e poveri » , « crisi e famiglie» . Certo, in Italia il divario non è esasperato come in altre aree del pianeta, dal Sud America all’Africa; e la situazione è ancora sotto controllo se è vero, sempre citando il bollettino della Banca d’Italia, che le nostre famiglie « sono le meno indebitate » , e riescono a risparmiare più, molto di più, di quelle tedesche, inglesi, americane. Siamo un Paese tenace, di formiche risparmiatrici, che ha sopportato meglio di quasi tutti gli altri lo tsunami finanziario. Lo si deduce dalla capacità di onorare gli impegni assunti. I 4/ 5 degli italiani hanno un’abitazione in proprietà, in alta percentuale con un mutuo pendente. Che pagano! È ancora la Banca d’Italia a renderci edotti che le famiglie perseverano nel risparmiare, alimentando gli investimenti. Ma come ricompensa il sistema bancario tale parsimoniosa attitudine? Per porre una pezza agli errori, ai buchi di bilancio che in taluni casi hanno richiesto interventi del Tesoro a sostegno ( i Tremonti- bond) offre poca roba sui depositi. Un egoismo aziendalistico che rischia di strangolare la virtù del risparmio. Ribadendo che la Banca d’Italia descrive il 2008, occorre analizzare cosa è avvenuto nei dodici mesi che stiamo per archiviare. Dopo un 2009 particolarmente arcigno non per quanti hanno i « piedi caldi » ( la Borsa ha vistosamente ripreso fiato), ma per le famiglie meno favorite, licenziamenti, cassa integrazione, stanno toccando livelli record; alcune tra le maggiori industrie pensano di smobilitare in patria per trasferirsi all’estero. Inoltre, salari e pensioni sono bloccati. Però, dal mercato del turismo s’apprende del vistoso aumento delle prenotazioni di vacanze invernali ad alto livello, mentre calano gli « spostamenti delle famiglie » . Crisi a due velocità, insomma; e poco rassicurante. Se per taluni il peggio è alle spalle, per i meno favoriti la situazione va aggravandosi. Chi ha le leve del comando e del potere, faccia pertanto attenzione: pericoloso far pagare ai poveri i prezzi di un capitalismo claudicante.