Assistiamo attoniti a quanto continua ad accadere in Medio Oriente. Dove la guerra non finisce e minaccia di allargarsi. E dove l’indagine sui presunti attacchi chimici in territorio siriano, che hanno riportato la memoria alle “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein, più che una ricerca delle prove dei misfatti è apparsa soprattutto la ricerca di un casus belli per perseguire altri obiettivi. Poi i politici sembravano tornati alla diplomazia. Infine, la notte scorsa, l’attacco “mirato” in Siria condotto da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Sappiamo che lo scenario è ancora in evoluzione: navi da guerra americane, russe e cinesi stanno solcando i mari. Si fatica a comprendere la diplomazia internazionale. L’unica verità evidente sono le vittime del conflitto.«Presi dall’ansia di bene per tutti, ci sentiamo in dovere di scongiurare gli uomini, soprattutto quelli che sono investiti di responsabilità pubbliche, a non risparmiare fatiche per imprimere alle cose un corso ragionevole e umano».
Facciamo nostre le parole di quella lettera scritta 55 anni fa da un uomo «buono», papa Giovanni XXIII, nel cui titolo si spiegava tutto: Pacem in terris. Una lettera pubblicata l’11 aprile 1963, Giovedì Santo, giorno in cui si ricorda l’istituzione dell’Eucaristia, così come la consegna ai discepoli del comandamento dell’amore (Gv 13,34). Proprio per questo quella lettera fu indirizzata per la prima volta non solo ai cattolici, ma anche «a tutti gli uomini di buona volontà». Perché in essa si parla di valori universali, comuni a tutte le culture dell’unica famiglia umana.
Sappiamo il contesto in cui questa lettera fu scritta. All’indomani della crisi missilistica di Cuba, quei tredici giorni dell’Ottobre 1962 in cui l’umanità corse il rischio di suicidarsi con una guerra nucleare. L’accorato appello del Papa a Kennedy e Kruscev. Infine la malattia del Papa, che già vedeva la sua nascita al cielo – morì dopo due mesi –, e che volle lasciare al mondo il suo testamento spirituale: l’enciclica Pacem in terris. In quel contesto essa fu ritenuta da tutti, anche dai non cristiani, come l’espressione migliore delle vie per alimentare le speranze di pace e di solidarietà di tutto il genere umano. Per tale ragione ancora oggi essa è conservata negli archivi delle Nazioni Unite a New York.
«Presi dall’orrore che suscita nell’animo anche solo il pensiero delle distruzioni immani e dei dolori immensi che l’uso di armi apporterebbe alla famiglia umana; per cui riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia». Papa Giovanni XXIII seppe leggere i segni dei tempi, indicando con chiarezza i passi da compiere subito per il bene della comunità umana, anche se andavano contro gli interessi meschini di alcuni. Giovanni XXIII attaccò il consenso, allora pressoché unanime, sul concetto della guerra giusta. Un concetto messo in discussione recentemente anche da papa Francesco.
Oggi questo sentimento di ansia mista a orrore giunge anche a noi. Dal grido dei nostri fratelli e sorelle siriani scappati dalla guerra. Vittime di un conflitto che non hanno voluto, ma importato dall’estero da quelle potenze che guardano alle nazioni come fossero uno scacchiere su cui giocare una partita, in cui a cadere sono persone umane. Per questo, con san Giovanni XXIII, anche noi chiediamo di sostituire alle armi il negoziato e ricordiamo che «Nulla è perduto con la Pace. Tutto può esser perduto con la guerra».
Papa Roncalli fu investito da una missione straordinaria. Immerso nella fede, con lo sguardo sugli uomini e la lungimiranza del profeta che legge in ginocchio, pregando, l’azione di Dio che conduce la sua Chiesa, facendo lievitare la storia. Era umile, un mite. «Beati i miti perché possederanno la terra». La beatitudine si è avverata in lui. Mite, secondo la Bibbia, è il forte che non indietreggia di fronte a nessun ostacolo, perché la sua forza viene dalla fede in Dio e dall’amore per i fratelli e sorelle in umanità. Questo è il lascito vivo di papa Giovanni XXIII. Prezioso per tutti, credenti e non credenti.
Presidente Comunità Papa Giovanni XXIII