giovedì 16 luglio 2009
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La lettera assai argomentata con la quale il presidente della Repubblica ha accompagnato la promulgazione della legge sulla sicurezza può forse essere considerata un esempio del tipo di confronto più civile che Giorgio Napolitano intende promuovere tra le forze politiche e nelle istituzioni. Promulgando la legge ha riconosciuto il diritto della maggioranza e del governo a legiferare; sottolineando gli aspetti disorganici e contraddittori che ravvisa nel provvedimento ha indicato l’esigenza di un elevamento del livello qualitativo dell’azione politica, che trarrebbe giovamento da un confronto più di merito. Il capo dello Stato ha dato l’esempio: non ha aperto un conflitto istituzionale, ma ha espresso con fermezza e serietà rilievi che il governo dovrà tenere presenti, come peraltro afferma una nota di Palazzo Chigi, «già a partire dalla prima applicazione della legge stessa», mentre il Parlamento potrà provvedere a correzioni anche più sostanziali, soprattutto sul tema assai controverso della configurazione giuridica dell’immigrazione clandestina. Contrariamente a quel che pensa Antonio Di Pietro, quelle di Napolitano non sono affatto «parole al vento». Le doti di equilibrio che gli sono largamente riconosciute anche nella maggioranza, proprio per l’imparzialità con cui esercita il suo ruolo, conferiscono alle sue osservazioni un’autorevolezza della quale governo e maggioranza dovranno tener conto e che potrebbero spingere le opposizioni maggiori a collaborare nella ricerca di soluzioni. Su questioni sulle quali si è esercitata una forte pressione propagandistica, dalle cosiddette ronde alla generalizzazione del reato di immigrazione clandestina, un atteggiamento più riflessivo potrebbe affermarsi dunque, anche grazie all’impulso del Quirinale. Evitare degenerazioni di cui già si è avuto qualche tristo esempio nel volontariato per la sicurezza, coniugare la lotta alla criminalità che gestisce l’immigrazione clandestina al riconoscimento della diversa condizione di chi lavora e vive onestamente, seppure in stato di irregolarità, si può e si deve fare. Questo sarà un banco di prova per il clima di rapporti più civile tra le forze politiche cui il presidente ha invitato ancora pochi giorni fa, ricevendo risposte piuttosto elusive. Chiedere di confrontarsi di più nel merito dei problemi del Paese significa sollecitare uno sforzo e un impegno maggiore a tutti, che non è comodo per nessuno. Una maggioranza altezzosamente autosufficiente e un’opposizione che si affida solo alla denuncia degli errori altrui, alimentano vicendevolmente un degradamento della qualità del confronto politico e della produzione legislativa. La richiesta di Napolitano, che anche in questo caso è stata avanzata senza ledere le prerogative del governo e della maggioranza, la cui legge seppure non poco sconnessa è stata promulgata, ma senza tacere delle sue incongruenze e contraddizioni, è assai più esigente per tutti. C’è da sperare che venga intesa nel suo senso più profondo, di un richiamo alla responsabilità nazionale che si deve esprimere in una dialettica che guardi sempre e soprattutto ai problemi reali. L’immigrazione è un fenomeno reale, difficile da governare in ogni parte del mondo industrializzato. Suscita emozioni e tensioni, ma anche solidarietà e accoglienza, che la politica deve filtrare e razionalizzare, se vuole esercitare la sua funzione più basilare, quella di garantire la convivenza e la sicurezza, valori che, seppure interpretati in modo differente, debbono trovare una combinazione efficace. In fondo il monito di Napolitano chiede alla politica di riflettere, se necessario con un tantino di umiltà, su questi temi reali, invece di inseguire facili e transitori successi propagandistici.
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