«Il Signore s’aggira tra le pentole». Singolare e come sempre spiazzante quest’uscita di Francesco. Puntuale, soprattutto, in questo momento. L’ha scritta ieri tra le righe di una lunga lettera vergata di suo pugno destinata alla commemorazione di santa Teresa d’Avila e passata quasi del tutto inosservata. È presa a prestito dalle
Fondazioni della stessa santa carmelitana, la santa per eccellenza «del cammino di perfezione verso Dio e verso gli uomini». Giusto ieri, quindi, quando ancora gli “addetti ai lavori”, dentro e fuori il Sinodo, erano tutti impegnati a fare le pulci al testo della
Relatio post disceptationem e la minoranza rumorosa dei “conciliabolisti” esternava ancora le solite note apocalittiche sulla stampa. Quest’uscita è quindi solo una feriale considerazione spirituale scontata per un Papa o è forse un realistico ricordare fugacemente a tutti,
in media res e in dirittura d’arrivo, che non si fanno i conti senza l’Oste. E che non possiamo non considerare, volenti o nolenti, i lavori del Sinodo fuori da quella profonda prospettiva ecclesiologica ed escatologica dalla quale questo stesso Sinodo è scaturito. Quella prospettiva che vede al centro il motore: lo Spirito Santo e il popolo di Dio. «Il popolo è soggetto – spiegava Francesco – e la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori. Sentire
cum Ecclesiae dunque per me è essere in questo popolo. Quando il dialogo tra la gente e i vescovi e il Papa va su questa strada ed è leale, allora è assistito dallo Spirito Santo». A conclusione dei lavori del documento di Aparecida nel 2007, Bergoglio affermava: «La nostra disposizione è stata quella di ricevere tutto ciò che veniva dal basso, dal popolo di Dio, e di fare non tanto una sintesi quanto piuttosto un’armonia… Nella Chiesa l’armonia la fa lo Spirito Santo perché
“Ipse harmonia est”. Lui solo è autore al medesimo tempo della pluralità e dell’unità. Solo Lui può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e allo stesso tempo fare l’unità».
Oggi, con la consegna delle relazioni in aula, si è concluso il lavoro dei circoli minori sul testo presentato lunedì scorso. Un lavoro breve, ma intenso questo dei Circoli che nei giorni scorsi hanno lavorato nel segno di un confronto reale, di un libero e acceso dibattito, come mai, negli ultimi tempi, era accaduto nella Chiesa. E che è stata la prova provata di quanto non ci sia stato niente di “pilotato” e di “manipolato” e sia svolto così come fin dall’inizio il Papa aveva auspicato e desiderato che fosse e perciò recepito con totale tranquillità da parte sua, come segno di ritrovata vitalità ed espressione di collegialità «che si manifesta in un cammino di discernimento spirituale e pastorale». La relazione post discussione su cui hanno lavorato i padri con proposte, di ampliamento o di emendamento, che si concentrano in particolare nell’affronto dei punti cosiddetti “caldi”, non cambia la sua impostazione. E intatta resterà la sostanza di quello sguardo nuovo, di amore e di apertura, di accoglienza verso la complessità della realtà odierna delle famiglie e di riconoscenza del buono che si trova in tutte le situazioni. Quello sguardo che era stato espresso felicemente nella
Gaudium et Spes, teso a «ricercare ciò che oggi il Signore chiede alla sua Chiesa, prestando orecchio ai battiti di questo tempo e percepire l’odore degli uomini d’oggi fino a restare impregnati delle loro gioie e speranze, delle loro tristezze e angosce». Ed è un cammino che non chiude qui, che apre ancora alle «sorprese di Dio» in una strada tutta da percorrere. Ma già il fatto che non finisca con un documento da gettare in un cassetto come un compito di matematica, che i vescovi si siano interpellati con franchezza e siano stati capaci di coinvolgersi in un ascolto e in un confronto nella carne dei problemi che riguardano la famiglia, e il convenire, infine,
in unum attorno al Vescovo di Roma è già un evento di grazia che porta avanti la Chiesa con un altro passo, dal quale non si potrà tornare indietro. E del quale ce ne darà misura il Papa stesso. Quando interverrà sabato al termine del Sinodo.