La settimana della comunicazione (5-12 maggio) cade quest’anno in un periodo di grande fermento, dopo tanti eventi che ci hanno fatto letteralmente toccare con mano la fantasia dello Spirito e la giovinezza della Chiesa, sempre pronta a rinnovarsi per raccogliere le sfide dei tempi e rispondervi, nel modo più propizio all’umano. Che non ci sia competizione, ma profonda sinergia, tra il discorso dei media e la realtà materiale lo dimostra la piazza San Pietro sempre gremita per ascoltare le parole di Papa Francesco: una persona sconosciuta ai più fino a qualche mese fa, ma che ha saputo da subito comunicare una vicinanza, capace di toccare perché autentica, al di là del fatto che fosse sperimentata in presenza, dallo schermo tv o grazie a un tweet.
Canali differenti, ciascuno con le sue caratteristiche, che nulla tolgono alla verità del messaggio, bensì lo rendono più 'partecipabile'.
È in questo contesto così comunicativamente attivo, euforico e denso che cade la 47ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, segnata dal messaggio di Benedetto XVI che fa da vero spartiacque tre due ere: quella del reale/virtuale (dove il virtuale è una realtà impoverita o una minaccia) e quella della realtà 'mista', materiale e digitale (due modi diversi del reale, che non competono ma possono e devono 'convergere'). Da oggi non possiamo più nasconderci dietro l’alibi della non-realtà, ma dobbiamo assumere in pieno le caratteristiche del tempo in cui viviamo, se vogliamo veramente abitarlo e non solo trovarci una tana per stare al riparo. È un diritto e anche un dovere, specialmente per chi si dice cristiano.
Tre aspetti, tra i tanti possibili, vorrei richiamare. Il primo è che il 'divario digitale' non lo si colma con la tecnica, ma col senso. Non saremo mai
smart come i nostri figli, ma possiamo cercare di capire che spazio e significato hanno i territori digitali nella loro vita, per accompagnarli a riconoscere bisogni più autentici sotto la superficie della socievolezza e aiutarli a 'disimmergersi' (che poi è il senso dell’educare:
e-ducere, tirar fuori) per vedere con occhi nuovi quello che ormai è il loro ambiente naturale. La relazione genitori-figli, docenti-studenti, educatori-ragazzi non ha che da guadagnare da questa alleanza in cui ciascuno impara dall’altro qualcosa, e soprattutto accoglie l’altro, costruendo vicinanza.
Il secondo aspetto riguarda la pazienza di capire meglio la complessità del 'continente digitale', che non è solo Facebook e intrattenimento in compagnia, per quanto anche su FB emergano bisogni e domande da ascoltare. La rete è sempre più un territorio di transito e aggregazione sulla base del quale realizzare,
offline, iniziative volte al bene comune su scala prima impensabile. Penso per esempio alla campagna 'no slot' su Twitter che ha raggiunto, grazie al passaparola e ai 'retweet' molte più persone di quanto sarebbe potuto accadere per altre vie. I 'social media' sono una categoria più ampia dei 'social network' (i primi hanno come finalità la condivisione e circolazione di contenuti, i secondi sono basati sulla reciprocità e sulla costruzione di cerchie relazionali) e consentono di ripensare le forme del vivere insieme in modo molto più umano, se solo si fa lo sforzo di riconoscere e valorizzare le potenzialità.
E qui vengo al terzo punto, una sorta di esemplificazione del precedente.
Non solo la rete non cancella di per sé la realtà materiale, ma in molti casi si sta rivelando al contrario un potente aggregatore di energie da spendere nei contesti faccia a faccia, per il bene comune. Che in molti casi aiuta persino a recuperare pratiche che si vanno perdendo (tradizioni artigianali, 'saper fare' legato ai territori) e a dare loro visibilità, consentendo forme di connessione tra soggetti dispersi, per poter far durare realtà altrimenti destinante a scomparire. O, in altri casi, ci aiuta a recuperare dimensioni che difficilmente entrano ormai nella nostra formazione, come il rapporto con la terra (
humus, dalla cui vicinanza nasce l’umiltà, dote in via di estinzione oggi).
Pensando per esempio al tema dell’Expo 2015 ('Nutrire il pianeta') mi vengono in mente i tanti siti che stanno nascendo per 'coltivare' a distanza un pezzo di terra e farsi recapitare i prodotti, o ancor meglio a quelli che consentono di trovarsi con altre persone che condividono lo stesso interesse e coltivare con loro piccoli orti, come attività sociale e formativa. Ma soprattutto i nuovi siti di
food sharing, che consentono di redistribuire in modo efficace il cibo in eccesso evitando gli sprechi, grazie anche alle nuove possibilità di geolocalizzazione.
Insomma, ci sono tanti nuovi e fecondi intrecci tra digitale e materiale. Perché chi è disposto a mettere in gioco il proprio impegno anche sul web migliorerà la sua vita
offline, e anche quella di altri.