Se il 1989 ha visto la fine del "secondo mondo" con il crollo del comunismo, il 2009 ha visto la conclusione di ciò che veniva identificato come "terzo mondo": l’economia mondiale è ora multipolare e in continua, repentina, evoluzione – Nord e Sud, Est e Ovest del mondo sono riferimenti di direzione su di una bussola, non più indicatori di un destino economico. La povertà resta e bisogna porvi rimedio, così come occorre risolvere il problema dei Paesi al collasso economico ed istituzionale. Le sfide globali si stanno intensificando e bisogna essere pronti ad affrontarle. Ma è il modo in cui dobbiamo affrontare queste questioni che va cambiando. Il lessico che rimanda a parole come Primo e Terzo mondo, donatore e beneficiato, vincente e perdente, è ormai desueto. Oggi, è già possibile osservare le difficoltà incontrate dal multilateralismo. Il Doha Round dell’Organizzazione mondiale del commercio e il vertice di Copenaghen sui cambiamenti climatici rivelano quanto sia difficile promuovere un’equa distribuzione di benefici e responsabilità fra Paesi avanzati e Paesi in via di sviluppo. Lo stesso dicasi per quanto attiene a molte altre sfide incombenti: gestione delle risorse idriche; malattie; flussi migratori; questioni demografiche; e Paesi in situazione di conflitto o da poco emersi dalle stesse. Non è più possibile risolvere le grandi questioni internazionali senza l’intervento dei Paesi in via di sviluppo. Ma riferendoci al G-20 come nuovo soggetto di cooperazione, non possiamo imporre una gerarchia nuova ed inflessibile. Né possiamo occuparci di questo mondo in continua evoluzione avendo come riferimento il vecchio G-7: gli interessi dei Paesi avanzati, pur con le migliori intenzioni, non possono rappresentare la prospettiva delle economie emergenti. Non possiamo restare fermi alla geopolitica di un tempo. Si avverte forte l’esigenza di una "nuova geopolitica economica multipolare" dove le responsabilità vengano condivise nel riconoscimento delle differenti prospettive e circostanze, al fine di realizzare interessi comuni. Prendiamo ad esempio la riforma finanziaria: e’ evidente la necessità di rivedere e migliorare la regolamentazione finanziaria. Ma attenzione alle conseguenze non volute quali il protezionismo finanziario. La regolamentazione decisa a Bruxelles, Londra, Parigi o Washington, confezionata su misura per i grandi istituti bancari, potrebbe non essere in linea con le esigenze di mercato dei Paesi in via di sviluppo, indi limitarne le opportunità di crescita economica. Wall Street ha mostrato chiaramente i rischi connessi ad una finanza spericolata: bisogna essere cauti e prendere seri provvedimenti. Nel contempo, una innovazione finanziaria, prudente e sottoposta a controlli, si traduce in maggiore efficienza e protezione dai rischi, anche in materia di cooperazione. Una risposta populista a livello di paesi G7 può significare la perdita di opportunità per miliardi di individui. Prendiamo la risposta alla crisi: in un mondo in transizione, il pericolo è che i Paesi avanzati si concentrino in vertici sui sistemi finanziari, o sulle difficoltà di reazione dei Paesi sviluppati come e’ avvenuto ad esempio per la Grecia. I Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di vertici sulla povertà. Essere in grado di ascoltare le esigenze dei Paesi in via di sviluppo non è più solo una questione di carità o solidarietà: È nostro interesse. Questo nuovo mondo ha bisogno di istituzioni multilaterali agili, flessibili e responsabili, che diano voce a chi non ce l’ha, con risorse già disponibili. Il Gruppo Banca Mondiale deve cambiare per riuscire a svolgere questo ruolo. E deve farlo senza soluzione di continuità e sollecitamente. Ecco perché abbiamo lanciato la riforma più ampia mai realizzata nella storia dell’istituzione, includendo la rappresentanza e il diritto di voto dei Paesi in via di sviluppo. Tuttavia i problemi hanno bisogno di risorse economiche per essere affrontati. La Banca Mondiale necessita di più risorse per sostenere questo nuovo modello di sviluppo e per rendere efficiente la modernizzata cooperazione multilaterale in questa nuova economia globale multipolare. Se la ripresa non decolla, dovremo farci da parte. E’ questa la ragione per cui la Banca Mondiale chiede ora il primo aumento di capitale dopo oltre 20 anni. Il multilateralismo moderno non sarà un sistema gerarchico ma sarà più simile alla rete Internet, collegando un numero sempre crescente di Paesi, aziende, individui ed Ong, attraverso una rete flessibile. Le istituzioni multilaterali, legittimate ad operare ed efficaci, quale il Gruppo Banca Mondiale, possono essere la trama di questo tessuto connettivo che raccorda la struttura di base di questo sistema dinamico e multipolare. Dobbiamo sostenere l’aumento di poli multipli di sviluppo, a beneficio di tutti.