Gentile direttore, ho più volte ascoltato il governo attuale vantarsi di aiutare i poveri. Ma in Italia come si fa a dimostrare di non avere un soldo? Mediante il modello Isee, un indicatore economico che difficilmente potrà rilevare il proprio dramma. Io e mia moglie oggi siamo entrambi disoccupati e con tre figli minorenni da sfamare. Per il modello Isee lavoriamo entrambi poiché il modello Isee fa riferimento all’anno 2017. La nostra misera abitazione, cioè un mutuo che non riusciamo a pagare, per il modello Isee è una rendita. Ed entrambi questi fattori (non altri) ci hanno escluso dal Reddito di cittadinanza (Isee troppo alto). Nel modello stampato per attualizzare la tua condizione lavorativa, beffa delle beffe, puoi dichiarare di aver trovato lavoro, ma non di averlo perso. Il mio sogno è vedere un giornale che faccia capire all’opinione pubblica che alla povertà oggi viene fatta appena una “carezza”, e proprio da politici che osano pronunciare in tutte le salse e occasioni la parola “famiglia”. Per quanto mi riguarda chiederò come al solito aiuto alla Caritas.
Giuseppe Carollo
La sua delusione e amarezza, gentile signor Carollo, sono comprensibili. Ma, su invito del direttore, le rispondo di non perdere la speranza di vedere riconosciuto il suo stato di bisogno e i diritti che ciò comporta. Facendosi aiutare da un Caf o da un Patronato, infatti, ritengo che lei possa far valere, già da ora, un modello di “Isee corrente”, introdotto dal 2014 proprio per far rilevare mutate condizioni reddituali e occupazionali in senso avverso, riferite a un periodo di tempo ravvicinato alla richiesta di prestazione. Se invece anche questa strada le fosse preclusa per qualche ragione tecnica, il governo ha promesso di intervenire con un decreto attuativo all’inizio di questo mese proprio per risolvere alcune incongruenze della normativa che finiscono per penalizzare persone effettivamente bisognose. Il caso è stato sollevato da due ex operai della Fca di Pomigliano d’Arco licenziati nel 2014. Dopo una prima sentenza a loro sfavorevole, in appello erano stati riammessi al lavoro, percependo lo stipendio per due anni (pur senza lavorare effettivamente) ma, dopo la sentenza definitiva della Cassazione che ha confermato la validità dei licenziamenti, si ritrovano ora a dover restituire le somme percepite negli anni scorsi, che però li fanno risultare troppo “ricchi” per accedere ai benefici del Reddito di cittadinanza nonostante non abbiano trovato un’altra occupazione. Dopo la protesta dei due operai, rimasti per quattro giorni a Pasqua sulle impalcature del campanile della chiesa del Carmine a Napoli, lo stesso presidente dell’Inps Pasquale Tridico si è impegnato a sollecitare l’emanazione da parte del governo di un decreto attuativo, appunto, nel quale prevedere un “Isee precompilato” che tenga conto sia delle variazioni più recenti sia di casi specifici come quello di questi operai. Non perda la speranza di ricevere il Reddito di cittadinanza che le spetta, dunque, caro signor Carollo, anche se fa bene a contare sull’aiuto – incondizionato – della Caritas.
In generale, occorre riconoscere come, al di là di qualche situazione particolare, la partenza del Reddito di cittadinanza sia stata positiva con più di un milione di domande presentate, 750mila quelle accettate, per una platea di beneficiari che si può già stimare in oltre 2 milioni di persone. Certo, per il momento si tratta solo di un sussidio per il contrasto alla povertà con pochi controlli e non condizionato alla disponibilità al lavoro, dato che ancora manca il potenziamento dei Centri per l’impiego, perno delle politiche attive. Da registrare anche le segnalazioni negative da parte di persone che si aspettavano un assegno mensile da 780 euro e invece hanno ricevuto “solo” qualche decina di euro come differenza tra quella soglia (depurata dal contributo per l’affitto) e quanto comunque già nelle loro disponibilità per redditi di varia natura. In realtà, però, questo è ciò che le norme hanno sempre previsto (pure nel caso del Rei, a livelli inferiori). La delusione di alcuni cittadini è imputabile allora in parte a una cattiva informazione, ma soprattutto agli eccessi della propaganda politica, quella degli slogan in libertà come “Daremo a tutti 780 euro al mese” o la “povertà sarà abolita”. Non è certo così. Al netto degli eccessi verbali e dei difetti strutturali in particolare riguardo alle famiglie con figli che abbiamo sottolineato più volte, però, con l’avvio del Reddito di cittadinanza una prima risposta al bisogno è stata data. E non è certo cosa da poco.