Si può valutare la sentenza della Corte Costituzionale in merito alla legge sulla procreazione assistita in due modi: o per ciò che essa effettivamente dice o per quello che si vorrebbe che essa avesse detto (ma non ha detto!) o che si vorrebbe che potesse dire in futuro (e il futuro, si sa, è non solo sempre aperto, ma è anche imprevedibile). Il primo modo è l’unico intellettualmente onesto e in grado di dare una corretta informazione all’opinione pubblica; il secondo è ideologia, nel senso più deteriore del termine. Quanto è cambiata la legge 40 dopo l’intervento della Corte? È cambiata pochissimo. Restano fermi tutti i suoi principi fondamentali: la tutela degli interessi del concepito in posizione non subordinata rispetto a quella di tutti gli altri soggetti coinvolti; il divieto di procreazione assistita a carico di donne sole o dopo la morte del partner; la proibizione di pratiche eterologhe; il divieto di qualsiasi sperimentazione sugli embrioni, il divieto di distruggerli, clonarli, congelarli, selezionarli, manipolarli a fini eugenetici e di selezionarli quanto al loro sesso; la proibizione di riduzione embrionaria di gravidanze plurime. In che cosa è consistito allora l’intervento della Corte? Essa si è limitata a dichiarare incostituzionale il comma 3 dell’art. 14 della legge, accusandolo di non prevedere la subordinazione del trasferimento degli embrioni in utero a una rigorosa tutela della salute della donna e a rimuovere la conclusione del comma 2 del medesimo art. 14, sì da consentire (ipoteticamente) la formazione 'in vitro' di più di tre embrioni e sì da rimuovere (ma sempre ipoteticamente) il dovere del medico di procedere 'ad unico e contemporaneo impianto' nell’utero della donna degli embrioni creati in provetta. Si tratta di una sentenza rivoluzionaria? Per nulla. Per quello che riguarda il comma 2 dell’art. 14 la Corte è stata persino ridondante: bastano le norme di buona pratica clinica e la più elementare consapevolezza deontologica per farci concludere che la tutela della salute è sempre e comunque un dovere primario del medico. Sotto questo profilo, comunque, se ridondanza c’è, è benvenuta, dato che i principi dell’etica medica meritano di essere ribaditi sempre e in ogni occasione. Per quel che concerne invece il 2° comma dell’art. 14, non è infondata la preoccupazione che i giudici della Corte abbiano 'abbassato la guardia' nella tutela dell’embrione, autorizzandone una produzione eccessiva e lasciandola comunque alla discrezione del medico. Ma resta pur fermo il divieto di congelamento e di distruzione degli embrioni. Dunque, sembra difficile ipotizzare che, anche dopo la sentenza della Corte, un medico possa produrre intenzionalmente in provetta un numero di embrioni così alto da non poterne in alcun modo prevedere l’impianto in utero, nemmeno col consenso della donna. Di necessità, chi così si comportasse, arriverebbe dolosamente a violare il primo comma dell’art. 14 (confermato dalla stessa Corte nella sua validità), quello che proibisce sia il congelamento sia la distruzione degli embrioni. Bisogna riconoscere, che nella sua formulazione linguistica, la sentenza della Corte non è un modello di chiarezza. Ciò non di meno, non solo è ben possibile, ma è doveroso interpretarla nel pieno rispetto dei principi bioetici, citati all’inizio, che sono stati posti e che restano a fondamento della legge. La Corte, per tutelare nel modo più rigoroso la salute della donna, ha voluto rimuovere quello che probabilmente le è apparso un imbarazzante dovere fatto gravare sul medico dalla legge 40, il dovere, ove egli avesse prodotto tre embrioni in provetta, di attivare una pericolosa gravidanza trigemina a carico della donna, procedendo con 'un unico e contemporaneo impianto' a portare tutti e tre gli embrioni nell’utero materno. Non so se la Corte abbia ben valutato il fatto che l’ipotesi di attivare una gravidanza trigemina, se non era esclusa dalla legge, non era nemmeno ritenuta da essa obbligatoria! Ora, comunque, dopo il suo intervento, sappiamo che questa ipotesi è definitivamente cancellata dal testo della legge. Ma poiché non sono state cancellate le altre norme a tutela dell’embrione, la conseguenza ora è che i medici dovranno ben guardarsi in futuro dal produrre più di due embrioni nell’ambito di una procedura di fecondazione assistita. Così vuole il buon senso e questa è l’unica conclusione corretta che l’interprete può trarre da ciò che la Corte ha esplicitamente detto. Chi invece approfitta di ogni occasione per sovrapporre la propria ideologia alla realtà delle cose continuerà a farlo anche in questo caso. Deplorevolmente.