L’andamento, per così dire, ondulatorio e sussultorio delle indagini giudiziarie di Matera e Pescara, che hanno visto ridimensionarsi in pochi giorni le accuse rivolte ad amministratori e a un parlamentare del Partito democratico, ha spinto Lanfranco Tenaglia, responsabile democratico per la giustizia, a una riflessione critica sul meccanismo che presiede all’irrogazione delle misure cautelari, oggi affidate a un giudice monocratico, e che secondo lui dovrebbero invece essere decise da un collegio di tre. Sull’ipotesi formulata si è registrato un ampio consenso da parte dei responsabili politici, anche se Gaetano Pecorella, del Pdl, vorrebbe che la decisione sulla libertà dell’indagato venisse assunta, come in Francia, non solo da un giudice collegiale, ma anche in seguito a un confronto con la difesa. Da settori della magistratura, invece, si fa notare come, specialmente in sedi giudiziarie più piccole, l’impiego di tre magistrati per il giudizio preliminare renderebbe poi difficile la composizione dei collegi dei giudicanti nel processo. Al di là delle questioni tecniche od organizzative e persino del carattere assai limitato della questione rispetto all’insieme dei problemi della giustizia, sul piano politico si è notato che quello di Tenaglia è, comunque, un piccolo ma significativo passo nella direzione indicata dal Quirinale di una riforma condivisa. Porre il problema della collegialità implica una preoccupazione per l’effettiva terzietà del giudice rispetto all’accusa, che il centrodestra propone di risolvere con la separazione delle carriere. Le soluzioni avanzate sono ancora molto distanti, ma si può segnalare che nascono da problemi che ora vengono considerati come tali in modo più ampio. Un altro elemento da considerare è che le sentenze contraddittorie di questi giorni riguardano il reato di associazione per delinquere, che viene tradotto mediaticamente nella formula del 'comitato d’affari', con grande clamore scandalistico, ma con scarsa verificabilità giuridica, come dimostra appunto la serie di diverse decisioni che ha provocato. L’esistenza o meno di questi 'comitati d’affari' peraltro viene suffragata dall’accusa quasi sempre solo in base all’impiego selettivo di intercettazioni telefoniche a tappeto, la cui propalazione finisce per coinvolgere in molti casi anche persone del tutto estranee ai presunti reati. Insomma, se si comincia ad affrontare con spirito analitico e senza pregiudiziali la questione della libertà e della custodia cautelare, si arriva inevitabilmente a porsi domande su problemi immediatamente confinanti, come appunto la terzietà del giudicante, la consistenza effettiva dei reati associativi, l’impiego delle intercettazioni di massa. Si tratta di argomenti che finora sembravano esclusi per principio dal novero delle questioni sulle quali anche il Pd poteva concorrere per una riforma. Oggi questa certezza non è più tale, anche se la strada per soluzioni condivise resta lunghissima e richiederebbe una effettiva disponibilità all’ascolto reciproco, della quale si avverte, almeno per ora, solo qualche debole segnale. Sempre meglio, comunque, qualche piccolissimo sintomo positivo dei grandi scontri che dominavano nelle settimane scorse.