«C’è solo una cosa che di fronte a questa enorme tragedia non doveva essere detta oggi: “Fermiamo le partenze”. Quando ci chiediamo perché intere famiglie con bambini e neonati partono, sapendo che forse possono morire in mare, dovremmo capire che ciò che li spinge a partire è proprio quel forse. Perché l’alternativa a partire è solo una. Morire. I padri, le madri e i bambini morti sulla spiaggia di Cutro avrebbero voluto non dover partire. E sognavano di vivere». Sono le amare e vere parole di Vittorio Zito, sindaco di Roccella Jonica. Lui conosce bene il fenomeno delle migrazioni lungo la rotta turca.
Nel piccolo paese calabrese, non lontano da Cutro, lo scorso anno sono approdate più di 7mila persone, 10mila su tutte le coste reggine, altri 8mila su quelle crotonesi, e circa 2mila su quelle pugliesi. Numeri in costante crescita. L’ultimo rapporto di Frontex riferisce che nel 2022 lungo la rotta turca e mediorientale sono approdati sulle coste europee 42.831 uomini, donne e bambini richiedenti asilo (la metà in Italia), il 108% in più rispetto al 2021. Ma, come ci diceva sempre il sindaco Zito un anno e mezzo fa, «se non c’è una tragedia, non è notizia. Se non ci sono di mezzo le Ong da accusare, non è notizia. L’accoglienza in silenzio non fa notizia».
Così decine di migliaia di persone in fuga e in migrazione non hanno fatto notizia in questi anni. Malgrado i numeri, malgrado la pressione su piccoli paesi non attrezzati all’accoglienza ma dal cuore grande e generoso. A soccorrere solo i marinai della Guardia costiera e della Guardia di Finanza, sempre sotto pressione, ma sempre pronti a salpare, a salvare quando l’allarme e gli ordini arrivano.
Ogni giorno, spesso più volte al giorno. Anche a Cutro lo hanno fatto, hanno salvato, assieme ai Vigili dei Fuoco, con un mare impossibile pure per loro. E sono i primi, come ci hanno detto più volte, a disperarsi e a commuoversi di fronte ai tanti, troppi morti. Ringraziamoli anche questa volta e chi può e deve, governo in primo luogo, li sostenga con altri uomini e mezzi. E ringraziamo le Ong che sono al loro fianco, stavolta citando per tutte Medici senza frontiere. Perché i viaggi anche lungo questa rotta non finiranno. Ora che è arrivata la tragedia tanto temuta, tutti intervengono, tutti accorrono, tutti si scandalizzano, denunciano, accusano.
Oggi. Ma dopo tanto silenzio ottuso, ora sarebbe giusto e doveroso un silenzio di vergogna. Nel passato qualcuno era arrivato a dire che questa da sud-est era una «rotta in prima classe», per chi si poteva permettere di pagare anche 8mila euro. Una rotta facile, insomma, e sicura. Senza andare a vedere chi arrivava su quelle barche: afghani, siriani, palestinesi, curdi, iraniani. In fuga da guerre, persecuzioni, violenze.
O, come nella barca nau-fragata a Cutro, anche somali e pachistani, certamente non partiti da Paesi tranquilli e in pace. Sarebbe bastato andare a guardare, almeno ogni tanto, le facce degli sbarcati, intere famiglie (proprio come quelle affogate a Cutro) anche con disabili gravi (“Avvenire” l’ha raccontato) in viaggio verso la speranza. Cinque-sette giorni di navigazione, spesso in più di cento su barche di 15 metri, gusci svuotati dai trafficanti per stipare più gente e fare più affari. Ma diversamente da altre rotte, come quella libica e quella tunisina, e da altri approdi come Lampedusa o i porti siciliani, la Calabria davvero non ha fatto notizia. E quando domina il silenzio, i trafficanti ringraziano.
E aumentano i loro cinici traffici, anche d’inverno, stagione un tempo senza sbarchi irregolari. E così aumentano i rischi. Fino al dramma, purtroppo non imprevedibile, sicuramente evitabile. Si poteva evitare, si doveva evitare, abbiamo scritto più volte davanti ai morti per un terremoto o un’alluvione. Lo ripetiamo con più forza e dolore oggi, davanti ai teli bianchi che coprono corpi troppo pic-coli, sulla bellissima spiaggia calabrese, trasformata in teatro di morte. Quanto durerà l’indignazione, quanto durerà l’attenzione? Purtroppo, altri drammi, su altre coste, sono stati presto dimenticati, o usati solo come strumento di sterile polemica, non per affrontare finalmente, Italia e Europa, in modo concreto il fenomeno migratorio.
Perché davvero il sogno di vivere non si trasformi realtà di morte. Adesso si pensi ai superstiti, al loro futuro, certo diverso da quello che avevano immaginato salendo su quello scassato barcone. Per ora sono stati accolti nel grande Cara di Isola di Capo Rizzuto, quello finito nel passato recente in inchieste di corruzione e ‘ndrangheta, e ancora oggi grande “discarica umana”. Proprio nella notte del naufragio uno degli ospiti del Centro è stato travolto e ucciso da un’auto pirata sulla statale 106, probabilmente mentre in bicicletta andava verso i luoghi di reclutamento dei braccianti. Scampato allo sfruttamento dei trafficanti, finito in mano allo sfruttamento di caporali e d’imprenditori senza scrupoli. Davvero non c’è altro destino per chi arriva sulle nostre coste scampando alla morte?