C’è un continente ancora da evangelizzare, ma non cercatelo sulle mappe geografiche. Le sue coordinate sono nel mondo virtuale, dentro l’immaterialità brulicante di vita del cyberspazio. Ci fosse san Paolo, probabilmente scioglierebbe le vele per prendere le misure a Internet e seminarvi il Vangelo con tutta la forza e l’intelligenza dell’apostolo allergico ai complessi d’inferiorità e pronto a esplorare le reti sociali che oggi spopolano sul Web, potenti magneti che attraggono milioni di persone e generano nuove forme di rapporti umani. Ma i giovani cui Benedetto XVI anzitutto consegna il suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, in calendario a fine maggio, non devono temere il confronto con l’Apostolo delle genti. Non di certo se prenderanno sul serio le parole con le quali il Papa li lancia in un’impresa degna della Chiesa delle origini: «A voi, che quasi spontaneamente vi trovate in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione – gli scrive –, spetta in particolare il compito di evangelizzazione di questo 'continente digitale'». È in un simile mondo inesplorato e in piena espansione che Pietro manda i giovani «a portare la testimonianza della loro fede», proponendogli di «introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita». All’orizzonte dell’impresa c’è lo sconfinato reticolo di siti che costituisce il territorio originario di Internet, ma che viene ora affiancato e surclassato per popolarità e immediatezza di linguaggi dal fenomeno dilagante dei 'social network', le nuove regioni appena colonizzate sulle quali si affolla l’umanità connessa e palesemente ansiosa di condividere con altri una porzione pur piccola della propria vita. Un grido di solitudine tradotto in bit? Con lucida percezione delle cose che stanno accadendo in rete, Benedetto legge questo prorompente sviluppo di Internet – che i massmediologi hanno catalogato con l’etichetta informatica di Web 2.0 – come il tracimare di un’esigenza profonda, connaturata all’uomo. Il «bisogno di avvicinarsi ad altre persone»» – chiave dell’Internet 'sociale' – altro non è se non un «riflesso della nostra partecipazione al comunicativo e unificante amore di Dio, che vuol fare dell’umanità un’unica famiglia». Nel linguaggio del cristiano, la connessione non è solo un passaggio di impulsi elettrici ma un «desiderio» e la comunicazione un «istinto», entrambi «manifestazioni moderne della fondamentale e costante propensione degli esseri umani ad andare oltre se stessi per entrare in rapporto con gli altri», e diventare così «più pienamente umani». Ecco il manifesto di un’antropologia dell’era digitale che legge la tecnologia come risposta a un’attesa, sofisticato calco di un’era dove l’'utente' e il 'consumatore' non ne possono più di venir trattati da strumenti e tornano a essere persone capaci di scelte, di amicizie, di identità non dissimulate. Donne e uomini nostalgici del vero e del bene che desiderano di scovare, nascosto forse tra le pieghe del Web. L’umanità online affolla le reti sociali cercando se stessa, e in questo viaggio deve poter incontrare uno spiraglio aperto verso il cielo grazie all’inaspettato incontro con rapporti all’insegna «del rispetto, del dialogo, dell’amicizia», secondo le parole del Papa. No, da oggi in poi aggiornare la propria bacheca personale su Facebook, inserire un commento su un blog, caricare un video su YouTube – magari incrociando il canale vaticano aperto proprio ieri – non sarà la stessa cosa. Definire le 'tecnologie della relazione' come un «vero dono per l’umanità » – pur con tutte le avvertenze dettate da un’«approfondita conoscenza» e da un «adeguato utilizzo» – vuol dire infatti capovolgere il computer e usarlo per creare comunità anziché trincee di solitudine tecnologica, toccando «le menti e i cuori» di chi abita il mondo virtuale. Il sesto continente dell’evangelizzazione è lì, un clic e si attracca. Sta aspettando esploratori con il coraggio dei primi cristiani.