«Noi giornalisti dovremmo meditare amaramente, con approfondito esame di coscienza, sulle parole di Giorgio Montini (giornalista e padre del futuro papa Paolo VI) che considerava il giornalismo una splendida missione a servizio della verità, della democrazia, del progresso e del bene pubblico». Lo ha detto ieri il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Eccellenti parole, e dette proprio nel momento giusto. Perché si sta a guardare quello che succede nella informazione in Italia con un crescendo di apprensione. Persino il premier Berlusconi ieri sera ha denunciato la presenza di "farabutti" nel sistema dell’informazione. Basta intendersi. Due settimane fa la feroce campagna contro Dino Boffo: carte false e di oscura provenienza pubblicate in prima pagina, in un odore di squadrismo mediatico. Ma,
il Giornale lo aveva annunciato, era solo l’inizio. Due giorni fa, l’editoriale di Vittorio Feltri era dedicato a Fini: una «ultima chiamata» perché «cambi rotta». Legittima la critica politica; ma sono le ultime dieci righe che raggelano. Le riportiamo testualmente: «(Fini) ricordi che bocciato un lodo Alfano se ne approva un altro, e lo si manda immediatamente in vigore. Ricordi anche che delegare i magistrati a far giustizia politica è un rischio. Specialmente se le inchieste giudiziarie si basano su teoremi. Perché oggi tocca al premier, domani potrebbe toccare al presidente della Camera. È sufficiente – per dire – ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di Alleanza nazionale per montare uno scandalo. Meglio non svegliare il can che dorme». Questo non è più politica. E non è nemmeno informazione. Informazione è pubblicare i documenti che si hanno, dopo aver rigorosamente verificato che siano autentici e aver sentito le parti interessate. Inventare una insultante vita parallela per uccidere mediaticamente un giornalista galantuomo non è informazione, è deliberata aggressione. Alludere a un "certo" fascicolo, avvertire che è «meglio non svegliare il can che dorme», non è informazione, è pura e semplice intimidazione. Non dubitiamo che, nella storia di questa Repubblica come in quella di molti altri Stati, di avvertimenti così, sottobanco, a mezza bocca, indiretti, ce ne siano stati. E magari non pochi. Quello che ci impressiona è veder dispiegato un simile apparato di guerra e leggere ripetutamente, nero su bianco, accuse e frasi di tale tenore su un grande e già glorioso quotidiano nazionale, che per di più appartiene alla famiglia del presidente del Consiglio. Impressiona, che tutto questo venga fatto ostentatamente. Come se fosse cosa normale. Come pensando che, in questa Italia, si può ormai tranquillamente fare ciò che in altri tempi sarebbe stato considerato da tutti deontologicamente inammissibile. E forse Feltri ha ragione: nemmeno l’Ordine dei giornalisti, almeno fino al momento in cui scriviamo, ha ritenuto di dover dire o fare niente. Speriamo di essere troppo pessimisti. Ma il dubbio è che qualcosa stia vacillando nella informazione in Italia – e in questo senso la manifestazione di sabato prossimo non è un appuntamento retorico, né formale. Ieri sera, un altro episodio, meno eclatante, più benigno: la consegna delle case in Abruzzo da parte del premier in onda a Porta a Porta in prima serata, di fatto "spente" le vere alternative sui palinsesti delle altre reti. La celebrazione dell’operato del governo – in questo caso più che apprezzabile da tutti – mandata in onda, ha scritto il
Corriere, «in un clima da reti unificate». In bilico fra informazione e propaganda. Come se il clima velenoso degli ultimi mesi, e la aggressiva campagna sulla moralità del premier condotta dai quotidiani vicini all’opposizione, avessero generato una controreazione nervosa, incontrollabile e ora del tutto straripante. C’è ormai un clima di veleni trasversali, in cui pare normale cercare di distruggere un avversario, vero o presunto, con ogni mezzo. In cui non si prova alcun imbarazzo a colpire e avvertire pubblicamente chi fa mostra di autonomia di giudizio (e se è lucida eppure appassionata la nostra difesa della dignità di uomo e di giornalista di Dino Boffo, non siamo certo noi a dover essere sospettati di nutrire simpatie per certe mosse iperlaiciste di Gianfranco Fini). Mentre alle famiglie italiane si mostra con gran rilievo in prima serata tv il puntuale operato del governo in Abruzzo, si tace sull’uso crescente e "normale" della stampa come di una spietata arma impropria.