Allora, Hamid Karzai ha vinto ed è stato rieletto quale legittimo presidente dell’Afghanistan. O forse no: troppi brogli, troppe stranezze nei conteggi, troppe manipolazioni. La commissione indipendente per il monitoraggio delle elezioni – sostenuta dall’Onu – ha ordinato un parziale riconteggio delle schede, in seguito alle prove manifeste di evidenti alterazioni in alcune circoscrizioni, in particolare nelle province sud-orientali a maggioranza pashtun, il gruppo etnico del presidente. La verifica della commissione – secondo alcuni analisti – potrebbe privare Karzai di parte di quel 54% dei voti scrutinati, anche se probabilmente non lo farà scendere sotto al 50% dei consensi, il risultato minimo per evitare il ballottaggio. In ogni caso, la formalizzazione di queste accuse, già note da settimane, getta pesanti ombre sulla regolarità delle elezioni e sulla legittimità del presidente. Dopo le grandi manifestazioni di protesta in Iran per i brogli che hanno portato nel giugno scorso alla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad, ora si assisterà a qualcosa di simile in Afghanistan, con il rivale Abdullah Abdullah che rifiuterà di riconoscerne la vittoria? E come si comporterà la comunità internazionale, dal cui sostegno militare, politico ed economico il governo di Kabul dipende interamente? In un momento estremamente difficile dal punto di vista militare, con i taleban all’attacco su tutti fronti, ieri capaci addirittura di colpire il quartier generale delle forze Nato nella capitale, si era sperato nelle elezioni d’agosto: per rilanciare la deludente esperienza del governo Karzai. Delle elezioni democratiche, con una competizione leale fra i vari candidati, avrebbero dovuto dimostrare la solidità della trasformazione in senso liberale del potere nel Paese, nonostante i ritardi e gli ostacoli. Le cose stanno andando diversamente, tanto che queste elezioni potranno finire con l’indebolire ulteriormente l’Afghanistan invece che rafforzarlo, rendendo più forti le voci di chi vuole un disimpegno dell’Occidente. Per un presidente rieletto in modo dubbio sarà infatti ancor più difficile avviare politiche credibili contro la corruzione e il mal governo, ritenute ormai indifferibili dagli osservatori internazionali. E le proteste di Abdullah inevitabilmente peggioreranno la già compromessa immagine internazionale di Karzai. Di contro, se anche i riconteggi porteranno a un improbabile ballottaggio, il rischio è quello di coagulare il sostegno dei pashtun contro le forze Nato e contro le Nazioni Unite, a tutto vantaggio delle milizie radicali islamiche. Lo sfidante Abdullah sembra godere di molta simpatia in Occidente, ma al di là dei suoi meriti, va considerato che la sua eventuale vittoria renderebbe ancora più problematici i rapporti con i pashtun. In quanto tagiko (anche se solo da parte di madre), egli sarebbe rifiutato da molti capi tribali pashtun, da cui escono i taleban, rafforzando l’idea che l’Occidente voglia solo un pupazzo da manipolare a Kabul e rendendo impossibile ogni ipotesi di accordo con gli esponenti islamici meno radicali. «Ci sono momenti in cui tutto quello che facciamo sembra fallire e ritorcersi contro di noi». Era questo il commento privato di un alto funzionario statunitense nel 2006, riferito all’Iraq, nel momento peggiore dopo la cacciata di Saddam. Sembra perfetto per l’Afghanistan del 2009. Eppure, così come avvenuto in Iraq, anche a Kabul è ancora possibile evitare il fallimento totale: cercando di limitare gli errori militari, di essere più attenti verso la popolazione civile e più credibili, più coraggiosi e generosi nella ricostruzione. Ma è fondamentale che che vi sia un presidente che possa essere chiamato tale a voce alta, senza dubbi, distinguo e proteste.