mercoledì 15 settembre 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
Inaccettabile. Semplicemente inaccettabile. Difficile non condividere il giudizio di Jacques Diouf, direttore generale della Fao, nel commentare il dato degli affamati nel mondo. Perché, è vero, le cifre segnalano un progresso, eppure sarebbe sbagliato e ipocrita festeggiare, quando 925 milioni di esseri umani soffrono di grave malnutrizione. E grave malnutrizione non significa rimboccarsi la sera le coperte con ancora un po’ di appetito, piuttosto vuole dire essere totalmente indifesi di fronte a infezioni e malattie. Ogni sei secondi si spegne un bambino per problemi connessi alla sottoalimentazione, oltre 5 milioni l’anno. In totale, le vittime della miseria sono 18 milioni ogni 12 mesi, un terzo delle morti totali sul Pianeta.Se l’impegno contro la fame fosse una vera priorità e il mondo avesse davvero messo tra i suoi obiettivi quelli stabiliti all’Onu 10 anni fa (il primo dei quali prevedeva di dimezzare le persone senza cibo entro il 2015), oggi potremmo rallegrarci del fatto che gli sforzi qualche risultato comincino a produrlo. Nel 2010 si è invertita la tendenza: sono saliti sopra la soglia delle 1.800 calorie giornaliere 98 milioni di individui rispetto all’anno precedente. Considerando l’aumento della popolazione complessiva, il miglioramento percentuale è ancora più significativo. Ma il traguardo del 2015 rimane lontano, le promesse di stanziamenti giacciono sulla carta, le buone intenzioni si accendono soltanto in occasione di rapporti come quello di ieri o di qualche catastrofe. Anzi, ormai non sempre nemmeno per le calamità, come segnala la tiepida reazione alle inondazioni che hanno messo in ginocchio il Pakistan.E, soprattutto, il progresso che si registra oggi sembra frutto di una favorevole congiuntura, che potrebbe essere presto ribaltata dalla crescita in atto del prezzo del frumento. Basterebbe un aumento degli aiuti di 37,5 miliardi di dollari l’anno per ridurre del 50% la fame nel mondo, sostiene l’ong Oxfam. Un’inezia sul Pil dei Paesi ricchi, la cui percentuale di aiuti allo sviluppo dovrebbe raggiungere uno striminzito 0,7% del reddito, un limite da cui l’Italia è ancora e sempre lontanissima.Il buon samaritano del villaggio globale non ha bisogno di incontrare il povero sulla propria strada, lo può soccorrere anche per interposti missionari o operatori umanitari. Il controverso filosofo animalista Peter Singer ha sviluppato un potente argomento morale che ha la seguente struttura: soffrire e morire di fame è una cosa negativa; se si può impedire che qualcosa di negativo avvenga senza sacrificare nulla di importante, è sbagliato non farlo; donando alle organizzazioni che combattono la denutrizione si può evitare che persone soffrano e muoiano, senza sacrificare nulla di importante; dunque, se non si dona a tali organizzazioni, si fa qualcosa di sbagliato. Un altro autorevole filosofo, Thomas Pogge, docente a Yale, afferma con dovizia di documentazione che l’attuale ordine globale è ingiusto, «in quanto esistono praticabili alternative istituzionali che non produrrebbero una tale catastrofica sofferenza», riferendosi ai circa 360 milioni di morti di inedia negli ultimi vent’anni, probabilmente i decenni più prosperi e pacifici della storia dell’umanità.L’economista William Easterly, autore di I Disastri dell’uomo bianco, e più recentemente Dambisa Moyo, resa nota dal saggio La carità che uccide, hanno dato voce a chi contesta non la doverosità bensì l’efficacia degli aiuti: non basta la buona coscienza, dicono, i soldi devoluti frequentemente vengono sprecati, finiscono in mani sbagliate, oppure creano dipendenza e non stimolano una crescita locale. Talvolta ciò accade. Ma, pensando ai consumi inutili cui molti di noi non sanno rinunciare, non sembra un’obiezione definitiva, piuttosto lo stimolo a rendere più efficaci gli interventi. A meno di non voler evocare la parola tabù che quei 925 milioni di fratelli sembrano rivolgerci: egoismo. Un egoismo inaccettabile come la loro fame
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: