La vicenda giudiziaria di Giovanni Toti andrebbe studiata nelle facoltà di Giurisprudenza e Scienze Politiche, perché è esemplare di quanto sia delicato l’equilibrio - fondamentale in una democrazia che voglia definirsi tale - tra l’autonomia della magistratura e l’esercizio dell’autorità politica delegata dagli elettori agli eletti.
Dopo quasi tre mesi, il presidente dimissionario della Liguria ha messo fine allo stallo nell’unico modo che è parso possibile, cioè lasciando la carica dalla quale era già sospeso. Questo perché prima il gip, poi il tribunale del riesame hanno ritenuto che dovesse restare in custodia cautelare ai domiciliari. Delle tre sole ragioni che consentono a un giudice di privare della libertà personale un cittadino prima di una condanna definitiva - pericolo di fuga, di inquinamento delle prove, di reiterazione del reato - è stata addotta la terza (forse in questo caso la più singolare), come motivazione dei due rifiuti. Insomma, i magistrati sono convinti che se fosse tornato in Regione Toti, pure da indagato per corruzione e finanziamento illecito, avrebbe potuto ricevere altri fondi da privati, legali o no sarà stabilito nel processo. Eppure i pm sono convinti di avere già raccolto le prove sufficienti a provare le loro accuse. Da qui l’esemplarità di cui si diceva.
Toti si sarebbe potuto (o dovuto, dipende dai punti di vista) dimettere per molti motivi: per opportunità politica, anche data la gravità delle accuse; se avesse perso il sostegno della sua maggioranza; se eventuali contestazioni dei suoi concittadini lo avessero convinto a farlo; per difendersi più liberamente, magari chiedendo il giudizio immediato per abbreviare i tempi altrimenti estenuanti della giustizia penale nel nostro Paese (cosa che probabilmente ora avverrà, ironia della sorte, su istanza della Procura che la difesa si è detta disponibile a valutare). Invece si è dimesso perché sembrava non ci fosse altro modo per tornare in libertà. Ecco il punto che - al di là della fondatezza o meno degli addebiti rivolti all’ex presidente della Liguria - meriterebbe il tempo di una seria riflessione: il ricorso alla custodia cautelare in Italia, la sua durata, i suoi limiti. Non soltanto nei confronti di politici o “colletti bianchi”, ma di tutti, considerando che molti non vanno ai domiciliari ma finiscono in cella. Quando parliamo di sovraffollamento delle carceri, parliamo anche di questo.