martedì 23 febbraio 2010
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Il  'gioco' ignobile del tiro al bersaglio sui Down, spuntato su Facebook nei giorni scorsi, è sparito dalla Rete in poche ore: a furor di popolo, nell’onda di una indignazione generale. La forza di questa sollevazione rassicura: siamo ancora in un mondo umano, verrebbe da dire, se a una simile ripugnante caccia al diverso ci ribelliamo. Possiamo magari, e legittimamente, prendercela con la incontrollabilità dei social network, o con la globalizzazione che ha fatto crollare le frontiere e reso impotenti i codici penali. Certi, però, che quel 'gioco' su Facebook è opera solo di un pazzo, o di un idiota. Che la sua logica («I Down sono solo un peso... come eliminarli civilmente?») è del tutto estranea alla gente normale. E, certamente, è così. Tuttavia, nel leggere questa storia, ci torna in mente una ricerca pubblicata dal British Medical Journal tre mesi fa, sull’incidenza della sindrome di Down in Gran Bretagna (ne riferiamo a pagina 7). Dove si spiega come l’aumento dell’età media delle madri negli ultimi dieci anni abbia portato a un incremento molto forte della sindrome; compensato, però, dal progresso degli screening prenatali, sempre più estesi, così che il 70% dei bambini Down viene individuato prima della nascita. Una diagnosi? No, una sentenza capitale: il 92 % delle donne raggiunte dal responso abortisce. D etect è il verbo usato dalla dottoressa Morris, della Queen Mary University di Lontra, per indicare l’individuazione dei bambini Down. I «detected babies» ben raramente vengono al mondo. «Detected» – in italiano individuati, scoperti. E cancellati, 92 su 100. Questo è il British Medical Journal. Come dice invece quel pazzo su Facebook? («I Down sono solo un peso… come eliminarli civilmente?»). Dove la differenza è nel tempo, in un 'prima' e in un 'dopo', tra il feto – nella mentalità corrente, un nulla – e il bambino; ma non è nella sostanza delle cose. Quelli lì, non sono desiderati. E se umanamente l’angoscia di una madre di fronte a un figlio handicappato è comprensibile, resta evidente che tutti o quasi, attorno, le dicono o le fanno capire che no, non bisogna avere un figlio così. Così semplice, così indifeso. Così bambino per sempre. La stessa Morris, intervistata da un quotidiano inglese, si è rallegrata dell’affinamento dei test prenatali. Che riconoscono, nel buio del ventre, i figli 'sbagliati'. Chiamandoli al loro breve destino. Allora il delirio di un vigliacco che, nascosto dietro a un soprannome, ha enunciato sulla Rete il suo 'gioco' abietto, non sarà come il materializzarsi di un sottopensiero inconscio, indicibile, che però esiste, almeno quando si tratti di nascituri - di non ancora nati, e dunque secondo alcuni di non­uomini? (In quella frontiera del 'prima' e del 'dopo' stabilita a ferrea barriera, per difenderci da dubbi e inquietudini). Non sarà, quel gioco di vergogna, come il lazzo di un ubriaco, che però riecheggia qualcosa che in qualche modo si è ascoltato dai sobri? («Eliminandoli civilmente»). I «detected babies» non nascono. Scovati. Presi. E 'civilmente' respinti. Ma il 30 % sfugge ai controlli. La dottoressa Morris lamenta che c’è uno zoccolo duro di donne, che non accetta lo screening. Che non si sottopone a un esame che è già quasi verdetto. Che si tiene quel bambino, comunque: già figlio, e non clandestino. E questo zoccolo duro di madri ribelli, meraviglia. Forse più questo, che il rigurgito su Facebook di un ubriaco: che si lascia andare, nella sua ubriachezza nella impunità della Rete, a un vergognoso, ben occultato pensiero.
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