È stato un breve dispaccio della agenzia "Xinhua" ad annunciare ieri che Bo Xilai, fino a ieri potente segretario del Partito comunista di Chongqing, è stato sostituito dal vicepremier Zhang Dejiang, un alleato del presidente Hu Jintao. La caduta di Bo apre uno squarcio sulla lotta interna del potere in Cina, in attesa del 18° Congresso del Partito, che si terrà in ottobre e che trasferirà la leadership dalla Quarta alla Quinta generazione. Bo Xilai, 62 anni, personalità esuberante e telegenica, sembrava destinato a entrare nel Comitato permanente del Politburo, il gruppo di nove persone che gestisce la politica e l’economia del gigante asiatico. Ma le sue fortune sono precipitate quando, in febbraio, il vicesindaco di Chongqing, Wang Lijun, si è rifugiato nel consolato Usa di Chengdu, forse per chiedere asilo.Wang era stato capo della polizia della grande zona industriale e si era distinto per una lotta spietata contro le triadi mafiose e la corruzione, facendo arresti a centinaia anche fra i big del Partito. Bo Xilai lo aveva premiato per aver attuato alcuni aspetti della sua politica: tornare allo stile maoista, riportare l’impegno diretto dello Stato nell’economia, dichiarare guerra alla corruzione, riattivare programmi ugualitari e populisti di ridistribuzione della ricchezza. In questo spirito, Bo e Wang avevano rilanciato lo studio delle opere del Grande Timoniere, le canzoni maoiste nei luoghi di lavoro e nelle scuole e un uso spregiudicato della polizia e della giustizia, su cui vi era un’inchiesta voluta da Hu Jintao.Nei giorni scorsi, Bo era stato assente per un giorno dall’Assemblea nazionale del popolo, dando il via alle voci sulla sua caduta in disgrazia. Il colpo fatale è venuto alla conferenza stampa finale del premier Wen Jiabao, che ha accennato alla necessità urgente di riforme politiche ed economiche, senza le quali vi è il rischio di un ritorno al caos della Rivoluzione culturale. L’accenno all’estremismo maoista era un riferimento sottile al revival propugnato da Bo. Wen ha anche detto che Wang Lijun è sotto inchiesta. Anche Bo Xilai è indagato, sebbene per ora conservi il suo posto e le cariche nazionale. Alla caduta di Bo, il web cinese si è riempito di commenti e previsioni. Alcuni vedono il suo allontanamento come la vittoria sugli ultimi residui di maoismo; altri affermano che, pur con alcuni errori, ha fatto del bene alla gente, colpendo la corruzione nel Partito e alleviando la miseria della popolazione. Negli ultimi due anni, la corrente "maoista" si è diffusa in molti strati del Partito, fino ad intaccare anche l’Amministrazione statale degli affari religiosi: vescovi sequestrati, cerimonie obbligate, ordinazioni episcopali senza consenso del Papa, arresti di sacerdoti, demolizioni di edifici sacri, tutto sembrava un ritorno ai peggiori metodi del passato.Alcuni analisti pensano che la freddezza nei rapporti fra Cina e Santa Sede sia dovuta proprio a questa fiammata di maoismo, che frenava la leadership di Hu Jintao nel procedere sulla strada dei rapporti diplomatici. Vi è chi spera che con la messa da parte del corifeo "rosso" Bo Xilai, le cose possano procedere in modo più spedito. Ma la politica cinese è alquanto opaca e pragmatica; e finora né Bo Xilai né Wen Jiabao né Hu Jintao hanno mai messo in discussione il monopolio del Partito comunista nel controllo sulla società.Anche le "riforme" tanto caldeggiate da Wen Jiabao, rimangono fumose nella definizione. È possibile quindi che dietro gli slogan su "maoisti" e "riformisti" si nasconda solo una cinica lotta per il potere. Per ora, sembra più sicura l’ascesa di Zhang Dejiang al Comitato permanente del Politburo, aumentando i membri della fazione di Hu, legata alla tradizione della Lega della gioventù comunista. Bo Xilai era figlio di Bo Yibo, uno degli 'immortali' nell’era post-Mao, favorevole alle riforme economiche, ma fautore del massacro di Tiannamen. Il figlio è dunque un 'principino' che ha goduto della protezione e dell’aiuto del padre per l’ascesa. La sua caduta è un segnale che il pedigree familiare non è più uno scudo. E questo è un messaggio soprattutto a Xi Jinping, l’altro grande "principino", che attende di diventare presidente e segretario generale al prossimo Congresso del Partito. Il fatto più preoccupante è che in questo teatro del potere la popolazione cinese rimane solo spettatrice.