Nel 2018, prima della catastrofe pandemica usciva un film, che nella versione italiana era titolato 'Qualcuno salvi il Natale' (nell’originale invece 'The Christmas Chronicles' regia di Clay Kaytis con protagonista Kurt Russell). Si tratta di un fantasy piuttosto divertente, che, in realtà, narra la vicenda di un babbo Natale pasticcione da rimettere in sesto per consentirgli di consegnare i suoi doni in tempo utile. Nei titoli dei giornali dei giorni scorsi e in espressioni ripetute dalla gran parte dei media ricorre l’appello a 'salvare il Natale', ossia a permettere che si possa festeggiare adeguatamente, nonostante la crisi ancora in atto, prodotta da un virus che stenta a lasciarsi sconfiggere in maniera definitiva.
Si potrà altresì ritenere, da parte dei più attenti, che si sia 'salvato il Natale' nel momento in cui si è determinato il passo indietro della Commissione europea, intenzionata ad abbandonare i riferimenti cristiani nello scambio di auguri di questi giorni. Non possiamo non plaudire a questo ripensamento, chiedendoci tuttavia quanto potrà ancora reggere il simbolico credente all’urto di un ricorrente laicismo, sempre più determinato a tagliare le radici della civiltà in cui si inserisce. In occasione della festa che stiamo per celebrare, sarà tuttavia opportuno convertire il nostro linguaggio e cambiare mentalità nei confronti del suo senso profondo. Non siamo, infatti, noi a dover 'salvare il Natale', ma è il Natale che salva noi, tutti noi, credenti, non credenti e diversamente credenti.
E proprio pensando a chi non crede non sarà fuori luogo una lettura 'laica', oserei dire 'filosofica', del prologo del IV Vangelo, che proclameremo e ascolteremo nella liturgia del giorno di Natale. Un testo che ha ispirato tanto pensiero occidentale da Herder a Fichte, da Hegel a Schelling e al tentativo di Faust di tradurne in tedesco l’incipit, fino a Solov’ev e Maine de Biran, per non dire di Rosmini e del suo commento proprio a questo testo. En archè en o logos che, nella versione italiana suona «In principio era il Verbo», significa non solo la 'Parola', ma il 'pensiero', la 'ragione'. Il che comporta che il cosmo e l’uomo racchiudono in sé stessi una profonda razionalità. E questa ragione si è incarnata: Kai o logos sarx egeneto.
L’incarnazione del Verbo (= Figlio) comporta quindi l’incarnazione della ragione, nel senso di una razionalità che supera di gran lunga i nostri ragionamenti, offrendo loro un orizzonte di senso. E, con l’evento dell’Incarnazione, non solo il cosmo e l’uomo, ma la storia stessa è intrisa di razionalità. Proprio perché la filigrana razionale del mondo e della storia è 'oltre' la nostra capacità di comprensione, assistiamo all’emergere dell’irrazionalità, soprattutto nei momenti critici e oscuri che siamo chiamati ad attraversare. Il rapporto annuale del Censis parla di 'società irrazionale': «La razionalità che nell’ora più cupa palesa la sua potenza risolutrice lascia il posto in molti casi a una irragionevole disponibilità a credere alle più improbabili fantasticherie, a ipotesi surreali e a teorie infondate, a cantonate e strafalcioni, a svarioni complottisti, in un’onda di irrazionalità che risale dal profondo della società». Piuttosto che di 'ragionevole dubbio', come nella migliore tradizione giuridica, stiamo invece facendo i conti con irragionevoli dubbi o sterili scorciatoie, che, insinuandosi nella mente delle persone semplici e in quelle maliziosamente dotte, rema contro i notevoli sforzi che la scienza, la politica e le persone avvertite, con tanto sacrificio, stanno conducendo.
Proprio in rapporto a questa irruzione dell’irrazionale, il messaggio dell’Incarnazione, che anche in questo Natale celebriamo e rendiamo attuale, potrà risultare salvifico non solo per i credenti, ma per tutti, invitandoci ad allontanare la tentazione dell’irragionevole, per convertirci almeno a un equilibrio consapevole e maturo nell’interpretare e vivere questo segno dei tempi che ci è dato, perché, abitandolo, possiamo crescere in autentica umanità.
A tal riguardo risulterà sempre attualissima la lezione del martire Giustino, che, nel II secolo scriveva: «Tutto ciò che di buono i filosofi e i legislatori hanno sempre scoperto e formulato, è dovuto all’esercizio di una parte del Logos che è in loro, tramite la ricerca e la riflessione […] la nostra dottrina è superiore a ogni dottrina umana, poiché per noi la razionalità nella sua interezza [ to logikon to òlon] si è manifestata in Cristo in corpo, intelletto e anima» ( II Apologia). Vivere il Natale, per tutti, significa 'vivere secondo il logos', ossia 'secondo ragione' e tale appello fa sì che, come insegna il martire, la fede cristiana debba essere riconosciuta e accolta, perché utile, anche alla vita dello Stato, in quanto sostiene la ragionevole onestà di cui abbiamo bisogno soprattutto in tempi oscuri come il nostro.